Pre-ludio al libro “L’arte del pensare”

Introduzione all’ultimo libro di Gianangelo Palo: L’ARTE DEL PENSARE, Tirrenia Stampatori Torino 2007

 

Ho avuto la fortuna di partecipare a un convegno, fatto di relazioni, di musica e di danza, in un contesto meraviglioso come il Priamar di Savona: Ho la opportunità di accostare un materiale scritto che in parte è stato letto in questa circostanza e in parte è frutto di questa operazione editoriale che vuole andare oltre la raccolta di testi di un convegno per porsi come uno strumento di lettura autonomo. (*)

Questa operazione si innesta in un lancio di una collana che si chiama ARCOBALENO, che intende produrre dei testi per il piacere della riflessione nel campo delle professioni di cura.

Si chiama arcobaleno proprio perché vuole mettere assieme vari colori in un arco che ingloba la riflessione, la creatività e l’estetica nella sottolineatura della importanza del bello nella costruzione della nostra sanità psichica.

Pensiero. Mente Bellezza Armonia sono un po’ le parole luminose che hanno guidato la raccolta di questi scritti che mi appresto a introdurre non seguendo il solito metodo delle presentazioni, in cui si cerca di riassumere le varie posizioni degli autori dei singoli pezzi. Voglio invece scrivere i pensieri e possibilmente le emozioni che, l’ascolto prima e la lettura poi dei vari contributi, mi hanno suscitato.

Penso così di dare parola (scritta) a un metodo che chiamo etico ed estetico al tempo stesso. (4)

Etico perché obbedisce a un modello, quello che ritiene qualsiasi riflessione come una interpretazione che non dice la verità ma esprime sensazioni, pensieri e emozioni che fanno parte del soggetto che parla. Il suo adeguamento al testo che commenta è sempre tenue e in ultima analisi un testo è valido se è capace di suscitare emozioni e pensieri non necessariamente allineati a quello che il testo in esame dice. Sostengo cioè che il valore di un testo è quello di far produrre pensieri e emozioni, non tanto quello di dire una verità. E’ evidente che qui sta sottesa una concezione filosofica molto impegnativa, ma essenziale per l’orientamento che poi si vorrà prendere. E’ per questo che ho accennato a una dimensione etica perché ritengo che l’etica abbia a che fare anche con una impostazione filosofica. In base a quello che credo essere bene, faccio E fa parte dell’etica dichiarare i propri interessi e i propri vertici. Ma qui si innesta anche la riflessione estetica.

Ma mi piace rimandare anche a un’altra categoria tratta dalla semiotica l’estesia.

È attraverso l’estesia, cioè “la componente affettiva e sensibile dell’esperienza quotidiana”, che si procede alla riattualizzazione di un contatto sensoriale con il mondo. Di conseguenza, il soggetto trova il modo per superare l’ambito del sembrare ed entrare, seppure provvisoriamente, nel regno dell’essere e della verità. Quello che credo si debba fare può diventare bello. (1)

Ritengo esteticamente più significativo leggere un testo e sentirne la valenza creativa piuttosto che riprodurre il riassunto del medesimo in modo calcolante.

Ritengo che sia molto bello se queste note che sto scrivendo producono qualcosa di nuovo in chi mi legge e non siano solo la fotocopia di quello che io sto scrivendo.

LA RELAZIONE TRA PENSARE E ‘‘ESSERE” UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA

La prima sollecitazione mi proviene da un ricordo di una serie di incontri avuti con Meltzer negli anni ottanta a Perugia. Nel contesto altrettanto suggestivo della terra di Assisi si sono tenuti dei seminari con una serie di interventi in cui Meltzer ci arricchiva con la sua capacità analitica e soprattutto con la creatività della sua mente. Uno di questi incontri si dipanò sul tema del simbolo. Elemento più volte evocato anche dagli interventi che compongono questo libro. (2)

Ci fu un incontro con un altro grande personaggio, filosofo, teologo, Raimondo Pannikar che cercò di illuminarci creativamente su queste tematiche. Queste due persone, che molto hanno influito sulla mia vita, hanno fatto da ponte nell’ascolto e nella lettura di questo testo. In vari Quaderni di Psicoterapia Infantile Meltzer è ricordato come autore importante con cui molti psicoanalisti italiani e uomini di cultura hanno potuto dialogare. Mi sembra questa una testimonianza scritta di grande valore nella storia della riflessione psicoanalitica italiana. Mi sembra importante riprenderla, dopo parecchi anni, per dare ancora voce a una serie di riflessioni e di esperienze molto significative

Sull’onda di questi ri-cordi, sottolineando la importanza dei contesti nella elaborazione dei pensieri, vorrei rimarcare alcuni spunti che hanno collegato in me una serie di emozioni e di riflessioni.

Innanzi tutto una riflessione filosofica che cerca di enunciare un cammino che ci coinvolge da 2500 anni e che possiamo sintetizzare come il rapporto tra essere e pensare. (3)

Da ventisei secoli ci troviamo sotto l’intuizione fondamentale dell’occidente la quale propone la polarità tra ESSERE e PENSARE. Se pensiamo “essere e pensare” distinti abbiamo tutte le forme di dualismo, altrimenti siamo condotti al monismo.

In questa prospettiva l’essere –è– il pensare e il pensare abbraccia la totalità dell’essere Se va in profondità, qualitativamente, è chiamato FILOSOFIA­, se si pone in termini più quantitativi, è chiamato SCIENZA. E’ il pensiero che ci fa conoscere la realtà, è la riflessione che ci spinge nelle pieghe più profonde del nostro essere.

E’ il pensare che ci contraddistingue dagli animali. Quello che conta è il pensiero; in ultima analisi la relazione importante è questa: tra essere e pensare; e la direzione è dal pensare all’essere. E’ il pensiero che scopre l’essere, è il pensiero che ci fa conoscere, è attraverso il pensiero che io divento cosciente…

Questo è un postulato cosi radicato nella nostra cultura che nessuno pensa di metterlo in dubbio; funziona secondo le caratte­ristiche della ovvietà. Sembra quindi non potersi contestare in nessun modo, pena la distruzione della nostra civiltà che si regge proprio su questo presupposto indiscusso.

Ma c’è anche un’altra posizione che ci deriva da altre culture in cui la polarità non è tra essere e pensare ma tra ESSERE E PARLARE.

Quello che l’essere è non lo scopriamo col pensiero; si tratta di lasciare che l’essere parli, che spontaneamente si diffonda, si esprima, si perda, si svuoti.

La prima posizione si affida ad un metodo che è soprattutto il metodo RIFLESSIVO, quello che in fondo potrebbe essere in atto anche ora, tra noi che stiamo leggendo delle riflessioni, dei pensieri sulla conoscenza, sul pensiero e sulla creatività, sull’arte.

Ma c’è la possibilità anche di un altro metodo che sì fonda sulle premesse a cui brevemente accennavo; il metodo che lascia parlare le cose, che, ascoltando i SIMBOLI, si lascia andare alla loro musicalità.

Il primo metodo dal punto di vista epistemologico usa la dialet­tica, ama il logos chiaro e distinto, ammette solo l’uso dei TERMINI, rigorosamente delimitati, definisce la conoscenza come l’insieme di mattoni, un edificio da costruire dalla fondamenta con criteri chiari e determinabili fino alle radici.

Il secondo metodo usa il dialogo dialogale, ama il mito, narra piuttosto che algebrizzare, usa la parola che sa essere polisemi­ca, semanticamente rumorosa, non perfettamente definibile, più parente del mito narrato che della statistica precisa e riprodu­cibile.

In fondo molta riflessione analitica poggia sul pensiero, sano, distorto, incapsulato, chiuso nel claustrum o aperto a orizzonti più ampi. Il pensiero è stato alla base di tante nostre riflessioni e lo è ancora. Sintetizzando potremmo dire che c’è stata una accentuazione del pensare che ha preso il sopravvento attraverso una posizione che potremmo chiamare idealistica, oppure una accentuazione dell’essere, visto come qualcosa di prioritario, sfociando in posizione realistica, essenzialistica.

Si è quindi parlato dell’uomo come animale ragionevole, l’uomo come essere pensante, traducendo Aristotele e dando al Logos questa accezione collegata al pensare. Si potrebbe anche tradurre il Logos con PAROLA e allora diciamo che l’uomo è l’essere che parla e non più solo che pensa.

Noi sappiamo come è diverso definire l’uomo come essere che pensa o l’uomo come essere che parla. Innanzitutto sappiamo che è difficile definire qualcosa ma soprattutto definire l’uomo. Siamo diventati più cauti, più umili e parliamo di descrizioni più che di definizioni. Ma tutto questo ci porta ancora a una riflessione che ho chiamato etica, in quanto non tutti abbandonano le definizioni e, a seconda se uno definisce o descrive, si mettono in moto una serie di conseguenze non indifferenti.

Si determina un’etica diversa e un’etica diversa conduce anche a una tecnica diversa(4). Penso alla importanza della dimensione artistica nella mente dell’analista, penso a come questo influisca nella funzione interpretativa e come sposti gli accenti dal parlare al sentire per poi farci di nuovo parlare.

Penso a Bion che chiede all’analista come dipingerebbe il suo paziente, quali colori userebbe o quale musica gli accosterebbe. Penso all’uso della letteratura e della poesia che Meltzer ha fatto e ai contributi che anche in questo volume sono presenti. Tutto questo ci fa capire come una diversa impostazione personale, una diversa filosofia, guidano un diverso comportamento anche terapeutico e ci rimanda al problema della fedeltà al metodo ma anche della sua creatività. Questo ci aiuta anche a capire le differenze tra pensiero e mente là dove la seconda accezione apre le porte a una descrizione del simbolo.

IL SIMBOLO

Giungiamo, però a una posizione che ritengo attualmente più feconda e potremmo parlare dell’uomo come di un essere simbolico. Il simbolo sappiamo che è qualcosa di importante e che ho sentito in azione in molti interventi presenti nel libro. L’attività simbolica è, infatti, quella che secondo me maggiormente caratterizza l’umano ed è un’attenzione che il discorso analitico deve tenere in massima considerazione. (5).

Mi sentirei di affermare che il passaggio significavo che anche Meltzer sottolinea e che è costantemente ripreso è proprio il considerare il processo analitico come un’operazione che riguarda principalmente il simbolico.

Questa attenzione al simbolo, visto come quella realtà che ci fa pensare ma che anche ci libera dal pensiero mi pare costituisca un passaggio significativo, molto importante e anche molto bello.

E’ qualcosa che attraversa tutti gli interventi e penso sia un elemento da custodire con molta cura perché diventa anche un principio ispiratore del nostro operare terapeutico e quindi diventa un elemento etico e metodologico rilevante.

Vorrei soffermarmi sulla doppia considerazione del simbolo, quella tratta da Ricoeur che ci presenta il simbolo come stimolatore del pensare e quella di Pannikar che invece vede nel simbolo un qualcosa che va al di là del pensiero, che addirittura ci può liberare dal pensiero che tutto prende.

Mi pare questa una posizione interessante nella sua doppia accezione in cui in maniera non dialettica ma dialogica(per riprendere un’espressione di Pannikar)il pensare e il superamento del pensiero sono viste come mutuamente integrantesi.

Questa dimensione simbolica mi ha fatto pensare alla importanza della dimensione poetica legata alla esperienza analitica e mi ha ricordato Bion che in seminario a Parigi con Resnik affermava che un buon analista deve essere un artista, se uno non lo è ha sbagliato mestiere.

Un artista mi rimanda a due interventi molto significativi quello di Lorenzini e quello di Oliva.

Potrebbero essere visti nella loro diversità in quanto uno è un artista che modella la terra e l’altro è uno che riflette sulla artisticità della pittura. Io invece li vedo nella loro unità. Assieme alle riflessioni della Harris che con la poesia mi pare costruisca un ponte di notevole valore.

La dimensione poetica dell’analista mi pare un’altra acquisizione importante che assieme alla dimensione simbolica costituisce una griglia metodologica significativa.

Nel va e vieni tra dimensione filosofica e dimensione analitica voglio introdurre una narrazione di un’opera di Heidegger, “L’ABBANDONO”, (Gelassenheit) scritta nel 1959 in commemorazione di un artista, il compositore Conradin Kreutzer, la cui musica riflette gli influssi romantici dell’epoca(1780/1849) e risente della presenza di Carl Maria von Weber. (7).

Il filosofo tedesco parla di due tipi di pensiero: il pensiero calcolante e il pensiero meditante.

Dopo aver affermato che l’uomo di oggi è in fuga davanti al pensiero, sottintendendo che il pensiero è il costitutivo dell’uomo, visto come essere pensante che non può non pensare, Heidegger sottolinea la presenza di un pensiero calcolante che non è il pensiero, è una degradazione del pensiero.

Il pensiero calcolante è il pensiero della tecnica che uccide il vero pensiero. Penso qui alle prigioni della mente di Scabbiolo, ai disturbi del pensiero di Rossetti, e penso anche a una certa proliferazione di un discorso troppo tecnico legato al procedere analitico che ha occupato una discreta parte della produzione psicoanalitica.

Il pensiero meditante è come il seme che il contadino semina e attende perché cresca e giunga a maturazione. E’ collegato alla terra dunque: “Siamo disposti o no ad accettarlo, noi siamo piante che debbono crescere radicate nella terra, se vogliamo fiorire nell’etere e dare i frutti”(J. P. Hebel) Heidegger si rivolge quindi a un poeta per spiegare cosa intende per pensiero meditante, che non è il calcolante, ma che ha bisogno di una PAROLA poetica per essere espresso e passare nella conoscenza.

Il pensiero meditante è quello che è possibile se c’è la GELASSENHEIT, cioè il lasciarsi andare, l’abbandonarsi alle cose.

Se non si vuole carpire tutto, racchiudere in uno schema, se si lascia il respiro che la terra lascia ai semi perché crescano.

Non è necessario allora negare la tecnica o il pensiero calcolante(il logos); è importante sapere che c’è un altro pensiero -quello meditante – che va alla radice delle cose, che si attua nell’abbandono, che è possibile solo con l’esperienza del lasciarsi andare.

Tutto questo non è legato alla esperienza artistica?

Ma non è questo anche il nocciolo della dinamica della conoscenza, che vedremo molto più in dettaglio proseguendo il cammino anche sotto l’apporto della esperienza analitica?

Noi diremmo che la vera conoscenza non è propria del pensiero calcolante o della scienza intesa in questo senso riduttivo; perché ci sia autentica conoscenza è necessaria la presenza del pensiero meditante. La relazione tra queste due forme conoscitive si attua attraverso un sì e un no. “Possiamo –continua Heidegger -far uso dei prodotti della tecnica e, nello stesso tempo, possiamo mantenercene liberi, così da poter in ogni momento farne a meno(loslassen)Possiamo far uso dei prodotti della tecnica e nello stesso tempo possiamo dir loro di no, impedire che prendano il sopravvento su di noi, che deformino, confondino, devastino il nostro essere”.

Il pensiero meditante è un po’la capacità della mente di non dimenticare che l’emozione, la sensibilità la costituisce.

Ancora un grande nostro poeta Leopardi, nel suo Zibaldone, dove cerca di far vedere come il filosofo deve essere anche poeta e dove si sforza di mostrare come la poesia è nell’umano che non ne può prescindere, dice” E’ del tutto indispensabile che un tale uomo(il vero filosofo)sia sommo e perfetto poeta…. Il filosofo non è perfetto, se egli non è che filosofo e se impiega la sua vita e se stesso al solo perfezionamento della sua filosofia, della sua ragione, al puro ritrovamento del vero che è pure l’unico e puro fine del perfetto filosofo. La ragione ha bisogno della immaginazione e delle illusioni ch’ella distrugge; il vero del falso, il sostanziale dell’apparente, l’insensibilità la più perfetta della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza dell’impazienza; l’impotenza della somma potenza, il piccolissimo del grandissimo: la geometria e l’algebra della poesia ecc.”(Zibaldone, 1839, 4 ottobre1821)Se al posto del filosofo mettiamo l’analista ricuperiamo una dimensione molto significativa.

UNA RIFLESSIONE PSICOANALITICA: L’analisi come la danza dei pensieri meditanti e come l’arte del conoscere in maniera emozionante.

Il metodo sotteso al mio modo di conoscere( che è poi il mio modo di procedere a comunicare il mio pensiero attraverso questo scritto)va dal filosofico, all’analitico, consapevole della necessità di mettere assieme i due mondi nel rispetto delle reciproche caratteristiche. Ma è anche il modo di procedere degli scritti raccolti in questo libro. Scritti che iniziano con un artista e terminano con un critico d’arte. Nel tentativo per gli psicanalisti di dialogare con gli artisti, dando priorità non al proprio mondo ma alla esperienza dell’altro. E’ questo il metodo dell’ascolto non onnipotente, del silenzio produttivo, del ricupero della noia che è paradossalmente fatta fruttificare in un rapporto creativo. E’ uno spunto metodologico che ancora una volta chiamo etico perché investe la dimensione più profonda del nostro operare.

Vorrei quindi proseguire con un’osservazione sul come vedo uniti questi momenti che ritengo essere anche momenti insiti nella conoscenza. La relazione tra i due è quello che io ritengo la componente artistica, e l’arte della psicoanalisi si coniuga con l’arte del conoscere, con l’arte del pensare e forse con l’arte dell’essere capaci di abbandonare anche il pensiero.

A questo proposito un argomento che volevo approfondire, ma che ho appena accennato, è il SIMBOLO.

Ho già ricordato come. RICOEUR noto filosofo francese che si è occupato del pensiero e della psicanalisi, dice che il simbolo ci fa pensare, “nous donne a penser“. Infatti il pensiero-abbiamo cercato do sottolinearlo- si sviluppa in una dimensione simbolica, quando l’altro è capace di fare da tessuto connettivo, quando l’altro si costituisce come l’OTRE delle nostre esperienze.

Ma il simbolo ci può anche liberare dal pensiero, almeno dal pensiero calcolante, ci può far ascoltare l’altro che parla.

Di fronte a un’opera d’arte penso che non ci siano parole né pensieri, si vede e basta. Di fronte a un’esperienza di sintonia, di amore, di comprensione si può stare in silenzio senza” rovinarla” con nessun pensiero.

In questo senso si può anche affermare che il simbolo ci libera dal pensiero, perché lo precede, ne è il contenitore.

Ma l’esperienza di analisi è soprattutto un’esperienza simbolica in cui si cerca di dar vita al pensiero meditante, dirozzando il nostro modo di conoscere e lasciando spazio anche alla dimensione calcolante che tuttavia non deve prendere il sopravvento.

In questo modo si fa l’esperienza di un processo conoscitivo che nasce dalle emozioni, in un ambiente adatto a produrre quei pensieri che prima si erano bloccati proprio perché, in assenza di condizioni estetiche atte a produrli, il pensiero muore. Ricordo una paziente che mi diceva di aver imparato non tanto a dire quello che pensava, ma soprattutto quello che sentiva: e per fare questo aveva scoperto che il modo migliore era attivare la sua dimensione poetica che la faceva star bene e le faceva dire dopo una seduta fatta di sogni e di immagini: CHE BELLO!

L’analisi in questo modo è vista ANCHE (lo sottolineo per amore di verità)come un’esperienza artistica in cui si insegna a conoscere in un altro modo, in cui si liberano modalità conoscitive prima inespresse e non conosciute; in cui soprattutto si da’ spazio alla esperienza di una bellezza del conoscere, non priva di difficoltà ‘ma bella a essere vissuta. La presenza delle difficoltà rimanda alla capacità dell’artista di riprodurre il male, la sofferenza e il dolore, elementi che l’arte non espelle, ma narra e narrando rende estetico anche il negativo.

Si introduce a questo punto un’altra suggestione che concentro nel nome ARMONIA.

Attivando mito, passione e desiderio mi viene alla mente il Mito, quello greco. Armonia è figlia di Ares, re della guerra e Afrodite, dea dell’amore. Ma la radice di Artemide è ar che è collegato a armos, la spalla, che congiunge il tronco alla testa. Ar è infatti congiunzione, collegamento. Armonia ha dunque a che fare con questa funzione dell’unire, del collegare. ”L’armonia-dice Salvatore Natoli-rende congruente un pezzo rispetto a un altro, lo fa funzionare…. non solo rende coerenti forze divergenti, regola potenze attive, ma attiva l’inerte, in qualche modo lo anima, organizza funzioni, struttura forme” Il simbolo, sappiamo che è soprattutto questo e l’armonia è parente dell’arte e della dimensione estetica. L’immagine, il sogno, sono i mattoni che costruiscono la dimensione psichica, l’arte del pensare in maniera sana –la abbiamo sottolineato- è collegata con la capacità di sognare. La dimensione artistica, la poesia, è la condensazione del bene e del male, del dio della guerra e della dea dell’amore in un’esperienza estetica che ci potrà salvare.

Questo testo, dicevo all’inizio, dà vita a una collana, ARCOBALENO, che vuole essere una raccolta di testi per il piacere di coloro che si occupano di professioni di cura. Si tratta di un’operazione interdisciplinare che vede danzare assieme vari domini, varie discipline in una prospettiva di dialogo che altrove ho chiamato PONTE. Il ponte congiunge due rive, il ponte crea dei collegamenti, il ponte è la traduzione simbolica di quella funzione simbolica della mente che abbiamo precedentemente ricordato. Ma il ponte è anche una dimensione presente nel testo che vi accingete a leggere. Mi piace ricordare un passaggio di Voltolin che si esprime con queste parole:

“Penso che questo libro sia letto da psicologi, educatori, psicoanalisti, artisti….

Si tratta di una confluenza di curiosità conoscitiva e di interessi professionali che avrebbe fatto certamente piacere a Meltzer, in primo luogo perché egli, una volta inserita l’esperienza estetica nella sua concezione dello sviluppo mentale (la sua metapsicologia allargata), ha sempre invidiato all’artista la sua capacità di rappresentare il dramma dell’uomo che deve imparare a non lasciarsi travolgere dalle emozioni, ma a contemplarle con serena partecipazione; in secondo luogo perché, per quanto riguarda gli insegnanti e gli educatori, Meltzer ha sempre affermato, con Bion, che la funzione educativa dovrebbe avere il compito di indirizzare le giovani menti verso la conoscenza, intesa come “il cibo della mente”, attraverso lo sviluppo dell’immaginazione oltre che dell’intelligenza; infine, per quanto riguarda gli psicologi e, più particolarmente gli psicoanalisti, perché Meltzer non si è mai stancato di stimolare l’analista a cogliere la bellezza del metodo psicoanalitico al quale egli si riferì come alla “conversazione più interessante del mondo”, considerando l’attività analitica alla stregua di una vera e propria attività artistica, intesa a far apprezzare al paziente la bellezza della mente; anche se egli ha sempre lamentato, con rincrescimento, il fatto che all’analista manchi quell’elemento essenziale che fa di un essere umano un artista: cioè il talento.

A questo proposito, in un’intervista di alcuni anni fa, Meltzer dichiarava: “In realtà la ricerca psicoanalitica si è occupata sin dall’inizio di produzione estetica, riconoscendo una vicinanza fra il lavoro dell’artista e quello dello psicoanalista. Il sogno peraltro condivide molto con la produzione artistica così come la stessa follia”. Parlando poi di Bion, Meltzer diceva “Bion non conosceva molto la letteratura psicoanalitica, ma conosceva molto bene Shakespeare. ”(7)

Vorrei prima di concludere, sottolineare l’importanza del metodo, cosa che accennavo all’inizio e che riprendo alla fine.

Il metodo è stato molto caro anche a Meltzer che vi ha dedicato molte riflessioni, alcune sono presenti anche nei contributi che arricchiscono questo testo. Ricordo l’importanza che le varie invenzioni che si discostano dalla prassi consolidata siano sempre controllate da un gruppo di colleghi, di supervisione. Accorgimento che sottolinea la serietà e la scientificità della Psicoanalisi non lasciata al vento delle mode ma aperta al nuovo, con una serie di controlli che rendano pubblici i movimenti e le nuove acquisizioni. Mi sembra questa una posizione molto in linea con le epistemologie più accreditate che non rifuggono dalla creatività, ma esigono una pubblica discussione per la validità delle nuove teorie.

Ma mi sembra ancora una volta utile rimandare ad una mia esperienza personale avuta con Meltzer al seminario sulla bugia cui prima facevo riferimento nella nota 2.

Si tratta di una descrizione metodologicamente magistrale del come affrontare il sogno dal punto di vista psicoanalitico seguendo tre momenti, cercando di sottolineare le rappresentazioni distorte

Meltzer enuncia una distorsione nella osservazione del sogno, una distorsione nel ricordo della osservazione del sogno e infine una distorsione nella rappresentazione del linguaggio.

Sono tre momenti dell’ascolto del sogno che dimostrano chiaramente quanto le indicazioni metodologiche siano importanti e soprattutto utili, sia che vengano accolte come anche criticate.

Ma dicevo all’inizio di questa breve introduzione che il metodo è collegato all’etica. Parlo di etica in distinzione dalla morale che seguendo l’indicazione di Partenope Bion, penso possa essere una precisazione feconda. In altri contesti ho parlato di una distinzione tra ethos ed etica con un’aggiunta squisitamente filosofica nella prospettiva metaetica. (8) L’etica, intesa come una riflessione sull’ethos, non può non considerare il metodo come elemento importante all’interno del suo stesso essere. Il metodo è infatti una strada, un’indicazione concreta del percorso che si deve compiere per raggiungere un determinato obiettivo. Fa parte essenziale dell’etica e ne diviene un corollario indispensabile.

Ritengo che questo libro possa essere un valido contributo metodologico per chi è convinto della necessità di innovare e nello stesso tempo non essere staccato dalle proprie radici. Penso si capisca come questo sia una prospettiva etica che è bene venga dichiarata perché poi il discorso sia coerente con questa impostazione. Un’etica del futuro che si colleghi a una memoria per essere in sintonia con il pensiero di una persona che- credo- abbia arricchito tutti coloro che si sono dedicati alla psicoanalisi.

Un’etica collegata al LIMITE che sulla scia di Bion Meltzer ha ampiamente valorizzato.

Penso di poter concludere così questa mia introduzione, che ripeto voleva solo essere un pre-ludio, (specie di fantasia che serve da introduzione a una fuga) cioè la messa in parola di alcune riflessioni, e spero, di alcune emozioni, che ora il lettore potrà arricchire con le sue, certamente molto ben adatte a render più bello l’insieme degli scritti che qui ho cercato di raggruppare.

Mi pare tuttavia di poter dire che da questi scritti si evince che l’analista, o lo psicoterapeuta. deve essere un bravo artigiano, dove, con questo termine, si mettono assieme le sue doti di artista e la sua capacità pratica di concretizzare queste doti nell’incontro con una persona con cui fare una bella esperienza, un viaggio nella profondità dell’inconscio, serbatoio inesauribile di ricchezze nascoste. (9)

NOTE BIBLIOGRAFICHE

* Il Convegno è in parte presentato nella postfazione, è la fonte primaria di questi scritti che sono però stati rivisti in prospettiva di questa pubblicazione che vuole essere uno strumento che va al di là di un atti di un convegno.

  • (1) Si veda: GREIMAS ALGIRDAS JULIEN, Dell’imperfezione. Introduzione di Paolo Fabbri. – Palermo Sellerio, 1988. Per un discorso più ampio sulla semiotica, in questa prospettiva si veda P. FABBRI, G. MARRONE (a cura di), Semiotica in nuce vol. II, Meltemi, Roma 2001. Per quanto riguarda un discorso analitico si veda HILLMAN J., L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelpfi, Milano 2002dove l’autore rimanda all’”aisthesis” che etimologicamente significa un “inspirare…trattenere il fiato per la meraviglia…”
  • (2) Si veda il contributo apparso nei Quaderni di Psicoterapia infantile, Simbolo e simbolizzazione, (n. 6)soprattutto nelle relazioni di Pannikar e Meltzer, assieme ai resoconti della discussione molto interessante avvenuta tra i partecipanti ai seminari. Si veda anche il volume sulla antropologia, sempre dei Quaderni di Psicoterapia infantile, curati Da C. Brutti e F. Scotti, in cui sono presenti delle riflessioni, a mio parere interessanti, sul metodo psicoanalitico e sulla relazione tra arte e scienza. Qui, soprattutto G. Maffei sostiene che l’analista deve essere un bravo artigiano. Mi piace ricordare l’esperienza promossa dai Quaderni di Psicoterapia infantile perché vi è documentata la possibilità di un dialogo interdisciplinare molto ricco e fecondo, tenendo conto che Meltzer ha qui rappresentato un particolare punto di riferimento: Mi permetto di rimandare all’altro QUADERNO sulla Bugia e allucinazione(n. 13), dove sempre anch’io ho partecipato e che ha fatto da sottofondo alla stesura di queste note in ricordo di Meltzer. Faccio anche notare come in bibliografia ho particolarmente curato gli interventi di Meltzer presenti nei vari Quaderni di psicoterapia Infantile dagli anni ottanta agli anni novanta.
  • (3) Il rapporto tra essere e pensare è uno squisito tema filosofico che richiederebbe una trattazione a parte. Investe tutta la storia della filosofia. La trovo una formula efficace anche se imprecisa per rappresentare un percorso della riflessione filosofica soprattutto nel mondo occidentale. Riesce sinteticamente a mettere a fuoco in maniera chiara tutti gli apporti che possiamo chiamare idealisti e quelli che rimandano a una visione più collegata alla realtà. Ma soprattutto è utile per vedere come le accentuazione dell’un elemento o dell’altro hanno potato al monismo o al dualismo. La posizione che io seguo, in concomitanza con quella espressa da Pannikar(a volte ripreso quasi alla lettera), è invece la necessità di operare una mutua fecondazione tra le due prospettive. C’è il pensare, non tutto, però, è pensiero, c’è anche l’essere. Heidegger direbbe che bisogna pensare l’essere e non l’ente, perché la riduzione di tutto all’ente rappresenta il tramonto dell’occidente. Nella mia prospettiva, cui piace la posizione del filosofo tedesco, si va al di là- credo- e si cerca di individuare nel superamento della dialettica, una nuova forma di conoscenza rappresentata dal simbolico. Per tutti questi sviluppi si veda: GALIMBERTI U., Il tramonto dell’occidente, Feltrinelli Milano 2006, NATOLI S., Parole della filosofia, Feltrinelli Milano 2004.
  • (4) Sul problema etico e sulla accezione di etica in collegamento col discorso psicoanalitico, rimando a una serie di articoli presenti sul mio sito WWW.PALOGIANANGELO.IT alle voci: articoli da riviste. In particolare un mio contributo apparso in un’opera collettiva della Università di Friburgo: PALO G. Etica e Psicoanalisi, in De Dignitate Hominis, Verlag Herder, Freiburg 1987. Per quanto riguarda il collegamento tra etica ed estetica: AA. VV. Etica ed estetica nella formazione, Guerrini e Associati, Milano 1990.
  • (5) Sul simbolo rimando al testo citato dei Quaderni di Psicoterapia infantile, n. 6, Simbolo e simbolizzazione, Borla Roma 1982. Vorrei soprattutto sottolineare l’importanza della accezione del simbolo visto non in maniera, dialettica come la sintesi di due elementi, ma preso come una funzione della mente che unisce e che si mostra nella sua accezione di coscienza simbolica. Mi viene alla mente ancora una citazione leopardiana tratta dallo Zibaldone datata 4 ottobre 1821 dove si dice che la scienza della natura umana non è che scienza dei rapporti. Tutti i progressi del nostro spirito consistono nello scoprire i rapporti…L’immaginazione è la più feconda e meravigliosa ritrovatrice de’ rapporti e delle armonie le più nascoste…. ”Dove ancora si sottolinea l’importanza della immaginazione come legata alla poesia e come facoltà importante per cogliere il “meccanismo del Bello” Per una riflessione importante su questo tema legato al Leopardi si veda PRETE A., Il pensiero poetante, Feltrinelli Milano 2006. Mi piace ricordare che il gruppo Koros ha indetto, a Savona nel 2006, un seminario sul Simbolo condotto dal prof. Tabbia.
  • (6) Si veda HEIDEGGER M., L’abbandono, Il Melangolo Genova 1983.
  • (7) Per una più ampia digressione sul pensiero di Bion, collegato alla dimensione artistica dell’ analista si veda RESNIK S., Biographie de l’Inconscient, Dunod Paris 2006 (prossima traduzione da Borla)dove viene riportato un seminario inedito di Bion tenuto a Parigi nel 1986 su invito di Salomon Resnik.
  • (8) FASOLI D., (a cura di)Etica e psicoanalisi, Borla 1994 e PALO G.,, Etica e Psicoanalisi in De Dignitate Hominis, Verlag Herder, Freiburg 1987.
  • (9) Sul Viaggio come simbolo espressivo della esperienza psicoanalitica mi piace rimandare a un bel testo di ALGINI M. L., Il viaggio con i bambini nella psicoterapia, Borla, Roma, 2003.

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