Mentre noi parliamo compiamo una miriade di operazioni che possono essere osservate secondo diverse angolature, la mia vuole essere quella etica, intesa come sistema di scelte. Se io decido di usare un linguaggio non metapsicologico lo faccio anche in base a una serie di esperienze che costituiscono la mia memoria che, a sua volta, è strutturata in una serie di modelli espliciti e impliciti. È anche questa mia memoria che presiede all’operazione linguistica che sto facendo ora, per cui uso un certo linguaggio e non altri, una certa punteggiatura e non un’altra.

Questa è la mia memoria etica che si traduce anche linguisticamente.

Mi pare che questa angolatura, che andrebbe ulteriormente sviluppata, possa servire da provvisoria conclusione di questo mio intervento. Ho voluto appositamente situarmi in un’area comunicativa perché ritengo che la comunicazione sia un fenomeno importantissimo che va studiato e che soprattutto detiene un primato di importanza e di tempo nella nostra vita. Attualmente stiamo comunicando, sia io che scrivo, sia chi mi leggerà. La dimensione etica, in una prospettiva «laica», non può non prendere in considerazione questo capitolo. Ho cercato di dare alcuni spunti (solo questa è la pretesa e non altre) per iniziare una riflessione su di un capitolo culturale che merita di essere trattato in chiave laica. La memoria etica di ciascuno di noi fatta dal proprio stile di vita (ethos), dai propri sistemi razionali e normativi (etica), dalla riflessione critica (metaetica) è alla base del nostro comportamento e anche del nostro sistema comunicativo espresso dal linguaggio. L’etica come sistema di scelte che implica la libertà diviene l’orizzonte in cui collocare questi spunti di narrazione. L’attenzione a ciò può essere un campo di azione in cui cimentarsi.

La memoria etica

Vorrei entrare subito in merito al tema che mi è stato proposto parlando delle nostre memorie che sono qui in azione (per coloro che mi ascoltano con l’immediatezza del codice verbale, per chi mi legge con la ricchezza del codice scritto).

Innanzitutto devo parlare della mia memoria. Una memoria biografica, una memoria storica, una memoria culturale, una memoria affettiva. Si potrebbe continuare ad aggiungere aggettivi, tutti importanti, tutti significativi.

C’è poi per voi la vostra memoria, ugualmente aggettivabile, ugualmente importante in questo processo di comunicazione in cui il passato si incontra qui ed ora e il presente si apre al futuro della nostra comprensione.

In un processo di comunicazione quindi non si può prescindere dalla memoria. Mi pare importante ricordar-lo perché c’è la possibilità a volte di scordarlo (come dicono i romani). C’è la possibilità che ci si dimentichi di una cosa tanto significativa per noi che stiamo parlando della memoria, ci si dimentichi dunque che il tema della nostra trattazione è attualmente in azione mentre discutiamo, mentre ascoltiamo, mentre parliamo, mentre, con la nostra fantasia, aggiungiamo alle mie parole le parole e i ricordi di altri, mentre cioè facciamo danzare le nostre memorie.

Ho già dato un’impostazione al mio discorso. Credo che si sia già un po’ capito come mi muovo.

Per quanto riguarda la memoria ho presente le varie definizioni che sono state date, le vorrei però sintetizzare così:

  • La memoria è un ricordo nel senso di ri-cordare; un riaccordare le mie frequenze sulle vostre, le vostre sulle mie per fare un dialogo.
  • La memoria allora diventa progetto non si muove solo sul passato ma dal passato passa al presente e al futuro.

Il fatto etico

Prima di affrontare il rapporto tra memoria e etica è necessario che chiarisca il significato che io attribuisco a questo termine e alla realtà che vi è sottesa. Compiendo questa operazione metto in attivazione la mia memoria biografica, una memoria storica collettiva e credo di attivare, in chi mi ascolta, un’adeguata risposta di memoria. Evidentemente si tratta di una memoria etica, secondo l’accezione del termine che andrò descrivendo. Mi pare importante questo momento descrittivo per dissipare molti malintesi che si aggrappolano attorno all’etica. L’etica non è prevalentemente una disciplina una branchia del sapere più o meno organizzata; l’etica è prima di tutto un fatto, una realtà che ci struttura come persone e che permea la società. Capire questo significa ricordarsi non di una cosa astratta o intellettuale che è appannaggio dei professori o di quanti si dedicano alla filosofia, ma significa sintonizzarsi sudi una serie di operazioni che ciascuno di noi compie come individuo e come membro di un gruppo. È solo in seguito che avviene la riflessione su questi fatti e la memoria viene così codificata e strutturata in norme. Non necessariamente queste norme sono leggi, possono essere anche scritti, leggende, miti, tutti prodotti intrisi di memoria normativa. Per ulteriormente sviluppare questa descrizione dell’etica, assai diversa dalle solite presentazioni, sono abituato a dividere il fenomeno in tre momenti che, a mio parere, rispecchiano la realtà dei fatti come avvengano in noi. Si può parlare: di un ethos; di un’etica; di una meta-etica. Per addentrarmi nel tema propongo una digressione etimologica. L’etimologia è la memoria del significato delle parole nello sviluppo storico culturale dell’uomo. Nell’etimologia c’è come conservata la traccia mnestica di un termine secondo le varie sfumature che ha assunto lungo la sua vita (vita del termine, della parola). Tra l’altro etimologia è un termine parente di etica, per cui possiamo ricavare un doppio vantaggio dall’esame delle due parole. Etica deriva da ethos che significa costume e rimanda a significati che riguardano la convivenza, la coabitazione. Questo vale in pieno anche per il termine tedesco «sitte» che si rifà alla radice indogermanica «suedh» ed etimologicamente significa domicilio, è collegato che lo «svadha» altoindico che rimanda a proprietà, abitudine, costume, o alle derivazioni latine «sodalis» (camerata = camera) «suesco» e «consuetudo» (abitudine, tradizione, costume, uso). Il contenuto del termine costume, implica tutto ciò che rende possibile la convivenza umana, che mette in rilievo una situazione ordinata, regolata, familiare, abituale, che dà sostegno che è controllabile, ovvia, universalmente praticata e di cui si è responsabili comunitariamente. Da qui l’impiego dell’altro termine «morale» che evoca significati affini al costume, alla casa, all’abituale. Riflettere etimologicamente sulle «parole» si rivela così come un’esercitazione di memoria particolarmente utile, le parole, infatti, non sono prodotti solo di regole tecnico-linguistiche ma segnano lo spessore della consuetudine, della storia e, diremo in seguito, del mito. In questa prospettiva si vede come il fenomeno etico è complesso e non così facilmente riducibile al mondo delle norme o peggio, al moralismo frutto di una proposta autoritaristica. Per cercare di mettere ordine a questa che prima di essere un’esperienza razionale è un fatto vissuto propongo di analizzare il fenomeno etico in tre momenti.

L’ETHOS

È la parte più esistenziale del fenomeno, ascrivibile al mondo della consuetudine e dell’ovvio. È quello che si traduce etimologicamente con «ciò che è di casa». È il mondo del mito usato non in senso razionalistico, piuttosto dispregiativo, ma mito come spessore forte della storia individuale e di gruppo. Il mito è, infatti, in questa prospettiva la stoffa che mette assieme le esperienze più primordiali e più profonde dell’umanità ed è presente sempre non solo nelle cosiddette epoche mitiche ma anche ai nostri tempi. Noi potremmo definirci nel mito della tecnica che agisce secondo le leggi tipiche di questo fenomeno. Il mito usa un linguaggio particolare, il simbolo, con caratteristiche specifiche di informazione, di relazionalità, di emotività. Si apre tutto un capitolo interessante su memoria e simbolo che andrebbe dettagliatamente esplorato ma ci porterebbe un po’ lontano dal nostro tema.

Quando si attiva un fenomeno etico, a livello individuale o di gruppo, noi ci troviamo di fronte a un momento che abbiamo cercato di descrivere sopra chiamandolo «ethos», ebbene c’è una memoria che riguarda l’ethos. È per lo più una memoria inconscia che scatta automaticamente in presenza di decisioni quotidiane, considerate come ovvie, non necessitanti una particolare riflessione. È chiaro che in presenza di una donna incinta, in una certa area culturale, viene automatico cedere il posto su di un autobus affollato. È l’automatismo di una regola di comportamento non scritta ma che fa parte dello stile di vita di un gruppo. In presenza di queste caratteristiche scatta un tipo di memoria che fa fare determinati atti senza bisogno di ulteriori legittimazioni se non quelle dell’ovvietà e della naturalezza. Questa è la memoria che colleghiamo all’ethos.

L’ETICA

Esiste un altro momento più tipicamente razionale che compone il fenomeno etico. Quello che più comunemente chiamiamo etica e che impropriamente riduciamo alla ragione chiara e distinta. È il mondo dei sistemi etici, delle normative codificate, all’insegna del rigore e della chiarezza. È il mondo delle norme che ogni gruppo culturale si dà in maniera esplicita per far sì che il gruppo abbia un minimo di coesione e di organizzazione ai fini di essere riconosciuto nella propria identità. Dicevo essere questo il mondo della razionalità. In accordo col linguaggio precedente possiamo dire che questo è soprattutto il mondo del «logos». Il logos che mette ordine ma che può anche uccidere proprio mentre si intronizza incontestato nel mondo delle persone, della cultura, pretendendo di dettare legge in maniera stabile e incontrovertibile. Questa area è quella che abitualmente si intende per etica. Ed è proprio questa riduzione semantica che, a mio avviso, ha determinato tutta una serie di malintesi e di ostracismi verso questa che non è solo una disciplina teorica con statuti di scientificità ma che è anche e soprattutto un’esperienza di ogni individuo e di ogni gruppo.

Esiste anche a questo proposito un tipo di memoria particolarmente legato all’etica. Allorché sono di fronte a una questione pratica importante, un problema di vita o di morte, la mia memoria etica si attiva e ricorre al repertorio di dati che ha immagazzinato attraverso il proprio «logos», la propria razionalità con la sua esplicita catalogazione etica. Questa etica non è più così automatica, di solito si confronta, fa domande alle grosse memorie delle istituzioni deputate alla conservazione del bagaglio normativo esplicito. In ogni caso si attiva un tipo di memoria che è diversa da quella precedentemente descritta a proposito del momento tipico dell’ethos.

LA METAETICA

L’esperienza attraverso la quale ci rendiamo conto che un’etica è sistematizzata, è racchiusa in formule razionalizzate, è proposta/imposta in maniera normativa da un gruppo che ha interesse a farlo, si chiama metaetica. In parole semplici metaetica è rendersi conto della non adeguazione tra ethos ed etica, è scoprire le logiche di fondo presenti in ogni etica che non sono solo razionali ma che obbediscono a una serie di fattori complessi. Pensiamo solo all’etica che oggi si fonda sui principi e lavora “more geometrico” attraverso una consecutio tra premesse maggiori, minori e conclusioni che la fanno obbedire alle regole del sillogismo. L’eutanasia è male, ma questo fatto è eutanasia, quindi è male. Si saltano tutta una serie di considerazioni che nella realtà umana, fatta non solo di ragione ma anche di affettività hanno u peso non irrilevante, noi possiamo dire hanno un peso etico. In maniera più complessa è capire che ogni etica è un prodotto storico, agisce sulle memorie culturali a breve e a lungo termine, è un prodotto fatto da alcuni soggetti che, con una serie di interessi, hanno ritenuto opportuno ed hanno avuto la capacità di codificare delle norme in risposta a dei bisogni che necessitarono un certo soddisfacimento, attraverso una serie di strumenti positivi e/o impositivi, a livello manifesto o latente, in modo da far sì che una certa organizzazione della società prendesse il sopravvento in un determinato contesto storico. L’operazione metaetica è in fondo l’appropriarsi, per quanto è possibile, del fenomeno e sottolineare la provvisorietà di qualsiasi fenomeno etico visto come incapace di tradurre in maniera adeguata tutti i conflitti che una comunità umana detiene e alimenta.

Per fare questo è necessario fare incontrare tre memorie:

  • la memoria collegata con la parte più profonda, collegata all’ethos, si tratta di una decodificazione che ha a che fare con la riscoperta dell’inconscio, attraverso un’analisi dei meccanismi inconsci;
  • la memoria più razionale, più facilmente decodificabile, quella che legge i sistemi normativi;
  • la memoria più fine che è capace di leggere le memorie, identificandosi e nello stesso tempo distanziandosi da esse.

La memoria etica biografica 

Da quanto siamo venuti dicendo possiamo affermare che ciascuno di noi sente naturale, come cosa sua, come una realtà di «casa», che si deve, è bene fare qualcosa. Questo lo definiamo il nucleo del fenomeno etico. Notiamo come non si mette in discussione che cosa è il bene o il male, entrando in una riflessione dei massimi sistemi. Vogliamo solo registrare quello che riteniamo una costante di fondo: in ogni tappa della vita esiste un sistema dentro di noi, che è di casa in noi, che presiede al giudizio su quello che facciamo. Al limite e per paradosso possiamo affermare: anche chi non fosse d’accordo con questa impostazione sarebbe pur sempre guidato da una serie di criteri per cui non è d’accordo. O, anche se non si ammettono questi criteri, il fatto di non ammetterli sarebbe pur sempre pilotato da quello che noi abbiamo chiamato etica.

Questa la definiamo: memoria etica.

Non sono difficili esempi a questo riguardo. Possiamo partire dalla situazione che stiamo vivendo: ognuno di noi che legge questo testo lo fa perché lo ritiene giusto, opportuno, piacevole. Questo fa parte di una sua memoria biografica, per uno bello è determinato da una serie di esperienze, per l’altro da altre. Tuttavia quello che vorrei sottolineare è che anche la spinta a leggere, le motivazioni al farlo, la sua etica è in qualche modo memorizzata. Ma non esiste solo una memoria etica esplicita. C’è anche una memoria etica inconscia.

Si apre qui tutto il capitolo che in termini psicoanalitici si chiama l’influsso del super-io. Non voglio usare un linguaggio metapsicologico per addetti ai lavori, preferisco continuare con una memoria linguistica che si sintonizzi più facilmente sugli uditori. E per narrare quello che voglio comunicare userò l’esperienza clinica di casi trattati psicoanaliticamente.

Ricordo una paziente con un legame fortemente simbiotico con una madre molto disturbata affetta da sclerosi a placche. Durante una lunga analisi ancora in fase di attuazione la paziente ha compreso il tipo di legame patologico che stava realizzando con la madre e con tutti coloro che contattava, soprattutto col marito, dal quale era separata, vivendo con un altro uomo. Comprendendo questo capiva che avrebbe dovuto comportarsi diversamente (per es. lasciare veramente suo marito da cui era formalmente e concretamente separata per vivere col suo nuovo uomo). Non ne era capace. Aveva sottostante una memoria etica diversa che le imponeva di non agire così. In fondo il conflitto era tra due etiche non mai esplicitate, una che affermava di non dover più essere una bambina, di dover emanciparsi dalla madre e dalle modalità relazionali tipiche di questa situazione; l’altra che premeva, a livello di memoria inconscia, non ancora sufficientemente risolta, che la spingeva a non staccarsi dal suo primo uomo per paura di fargli del male, perché in fondo non era bene lasciarlo in quel modo. Il conflitto tra le due etiche si evidenzia così come il conflitto tra un’etica esplicitata che si scorge come giusta e una memoria etica che inconsciamente influisce e che non si riesce a sciogliere. In questo caso è solo un’operazione di tipo meta-etico che riesce a ristabilire un equilibrio. Operazione che evidentemente non è libresca o intellettuale ma deve calare nel profondo, esige tempo e pazienza, vuole la ricostruzione di una memoria più adeguata all’esistenza del soggetto. L’influsso delle memorie etiche è molto forte e meriterebbe tutta una trattazione che qui non è possibile sviluppare.

Un altro collegamento è col tema che percorre tutte le vostre serate, il terrorismo. Il prof TOSINI ci ha descritto fenomeno logicamente l’atteggiamento terroristico che può essere attribuito a un ragazzo di 18 anni che si fa immolare, che diventa martire per la causa di Al-Qaeda. Seguendo lo schema precedentemente esposto, è chiaro che questo ipotetico terrorista segue un’etica, che è legittimata da tutta una serie di operazioni che rientrano in un movimento culturale pronto a fabbricare martiri. Collegato quindi a una dimensione persecutoria, il martirio infatti anche nella nostra memoria storica è legato alle persecuzioni cristiane, dove per non rinnegare il nuovo Dio, ci si faceva crocifiggere come crocefisso era colui in cui si credeva. Il credere infatti conduce alla testimonianza, martirio infatti è collegato col testimoniare, testimonianza che è una tipica operazione che non coinvolge tanto il logos, la ragione, ma soprattutto il mito e la fede. Nel contesto che stiamo esaminando quindi il terrorista obbedisce a una istanza profondamente etica, probabilmente si iscrive anche in un ethos che fa parte del contesto biografico del soggetto ma non possiamo dire che questa posizione non sia etica. Ecco allora che sorge il problema di applicare una operazione metaetica per domandarsi come è costruita questa etica, su che cosa si fonda e se può essere condivisa.

Vorrei soffermarmi invece su un capitolo interessante che riguarda una realtà che anche ora abbiamo in azione mentre io scrivo o voi leggete, si tratta dell’esperienza linguistica che è pure dotata di «memoria». Il mio intento è quello di domandare se l’etica ha a che fare qualcosa con questa dimensione così importante nella comunicazione, nella relazione e nella vita.

Una memoria bio-etica 

Uno degli elementi che la riflessione bioetica attuale sta conducendo è l’allargamento della sua area di interessi, ma soprattutto la sua riflessione sulle aree non periferiche. Vero che le questioni di eutanasia, dei trapianti, dell’eugenetica sono di frontiera e costituiscono un punto obbligato di trattazione etica, tuttavia la riflessione più interessante è quella che, col nostro vocabolario precedente, chiamiamo metaetica. La riflessione metaetica si sofferma sul fondamento o sulle questioni di fondo e evidenzia un punto di particolare interesse: il curare. L’istanza di fondo di ogni operazione medica si fonda sul «prendersi cura». Nessun medico rifiuterebbe questo. Eppure c’è un modo diverso di prendersi cura. Merita di soffermarsi un po’ su questo «curare» visto come al centro della posizione del medico o di chi professionalmente si situa in questa area «terapeutica»: sappiamo, infatti, che terapia significa «aver cura di», «prendersi cura di». Le riflessioni su questo versante sarebbero numerose, io mi soffermo solo con le relazioni al nostro tema: la memoria.

Ritengo che il «prendersi cura» rimanda a una memoria inscritta in ciascuno di noi, in relazioni al codice materno declinato fondamentalmente su questo registro. Questa memoria ha varie sfaccettature, più volte sottolineate in questi ultimi tempi, ma ha anche una valenza etica in due sensi:

  1. perché rimanda a un ethos, a uno stile di vita che coniugato in vari modi si richiama pur sempre a una dimensione di accettazione, di accoglienza e di «compassione» nel senso etimologico della parola, di «sentire con»;
  2. perché diventa fondante un criterio di azione che permeerà tutta la dimensione terapeutica. Questo criterio, dal nostro punto di vista, è eminentemente etico perché sorge dalla zona più profonda dell’uomo e guida in maniera, consapevole o no, i propri comportamenti, anche professionali. Osservare questa «memoria» significa rendersi conto del quanto gli orientamenti di fondo delle nostre scelte divengano importanti anche dal punto di vista delle tecniche, quelle che oggi si possono chiamare le più scientifiche.

Il prendersi in carico un paziente dipende anche dalle memorie etiche depositate nell’operatore. La sua tecnica di intervento dipende ancora da questa dimensione :se tutto questo è vero dobbiamo «ricordarci» della nostra eticità non come fatto aggiuntivo di cui si può più o meno disquisire, ma come di una componente coassiale alla nostra attività e quindi anche ai nostri risultati.

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