Psicosi un Problema di Metodo

Riflettere e scrivere sul  rapporto tra psicomotricità e psicosi mi rimanda immediatamente a un problema di comunicazione.
·   Perché la riflessione e lo scritto sono dei fatti comunicativi
·   Perché la psicosi è soprattutto una rottura comunicativa tra le parti più profonde di sé e con gli altri
·  Perché la psicomotricità è una attività che non può prescindere dalla comunicazione sia nella sua attuazione pratica che nella sua configurazione teorica.

Riflettere sulla comunicazione, applicata al nostro tema, mi sembra quindi un elemento di metodo importante.
Rendere operativo questo metodo vuol dire presentarmi come soggetto comunicante attraverso un modello ormai classico come quello dell’emittente e del ricevente.[1]
Metodologicamente, volendo usare la teoria della comunicazione come contenitore privilegiato per parlare della psicosi e della psicomotricità e trovandomi, al momento in cui scrivo oche voi mi leggete, all’interno dl processo comunicativo,ritengo necessario presentami in questo modo:

L’emittente è un uomo(maschio) che  fa lo psicoanalista con attività a livello clinico e con un’esperienza didattica che si attualizza nell’insegnamento e in interventi di supervisione di équipe per operatori sanitari, in cui sono presenti spesso degli psicomotricisti, pensando soprattutto ai quali scrivo queste osservazioni.

I riceventi sono degli psicomotricisti (uomini e donne) almeno nell’intenzione di chi scrive.

Il codice usato  è prevalentemente narrativo a sfondo psicodinamico con la presenza di un accento epistemologico. Questo significa che i miei punti di riferimento, le mie fonti, sono di natura psicoanalitica e filosofica, assieme ad una larga importanza data alla dimensione esperienziale.
I miei autori sono quelli citati in bibliografia e la mia esperienza  è fatta di tanti autori quanti sono tutti coloro che ho incontrato nella mia attività professionale e che mi hanno dato molto.Citare gli autori è importante perché costituiscono dei punti di riferimento teorici su le riflessioni si appoggiano.La teoria è importante perché fa da contenitore alla massa di pensieri e di sensazioni che formano il nostro conoscere.

Gli interessi sono soprattutto condensati in un desiderio di intervenire usando un modello dialogico come strumento importante di comunicazione e di conoscenza.
Ritengo questa  una dimensione  etica imprescindibile in ogni operazione comunicativa e, lo vedremo, anche in ogni prospettiva terapeutica.[2]
Più specificatamente il mio interesse è quello di mostrare come la psicomotricità, che sul mercato culturale ha assunto un po’ la figura minore  nei confronti d’altre discipline terapeutiche, si trova ad essere al crocevia di una proposta innovativa che tenta di mettere in pratica gli assunti più interessanti di una nuova visione del mondo.
Mi riferisco ai salti epistemologici che superano una concezione cosiddetta realistica della conoscenza per un approfondimento che deriva da un emergere delle riflessioni collegate alla fisica quantistica e alle dimensioni innovative sul  problema del nostro conoscere. Valga per tutto il superamento della  posizione dualistica per la riscoperta di un nuovo assetto della mente non più scisso.[3]
Inoltre vorrei sottolineare un elemento metodologicamente rilevante nell’approccio che voglio seguire, elemento indispensabile in ogni ricerca che voglia essere un po’scientificamente orientata, il limite.
Una ricerca, e quindi anche un articolo, se vuole essere efficace deve porsi dei limiti.
I limiti sono già dati dal tema, ma  devono essere anche di metodo.
Intendo affrontare questo problema rilevando l’importanza che hanno le nostre premesse conoscitive. Mi rifaccio al discorso ermeneutico e  alla sottolineatura della precomprensione nella lettura di un testo ed evidentemente anche nella composizione del testo stesso. Questo per obbedire al modello comunicativo che sto esponendo e che vede la circolarità comunicativa, tra chi scrive e chi legge, come un  elemento imprescindibile per la corretta comunicazione.[4]
Il mio interesse sarà quindi quello non di fare un discorso approfondito sulle psicosi, ma descrivere i presupposti conoscitivi per trattare le psicosi.

Gli effetti, importanti in ogni comunicazione, dovranno essere registrati in seguito e saranno auspicabili come ritorno della comunicazione se questa è stata efficace, ha solleticato gli interessi dei lettori che a loro volta potranno diventare comunicatori e far danzare quindi le loro riflessioni in un’operazione di dialogo più allargato.
Proprio per questo sono contento nel sapere che le mie riflessioni saranno parziali, non esaustive e quindi suscettibili di completamento, di verifica o di falsificazione, tutte operazioni che permetteranno l’apporto degli eventuali lettori.[5]

Ho voluto  usare il modellino comunicativo : emittente -ricevente-codice-interesi- effetti,  perché  ritengo  sia molto utile come esemplificazione di una trasparenza che usa una riflessione più teorica(il modello della comunicazione è infatti teorico) per far funzionare in un certo modo il processo comunicativo o per almeno essere capace di leggerlo attraverso un modello.
Questo vedremo come servirà molto anche nel processo terapeutico che è fondamentalmente un processo comunicativo. La cosa interessante è che anche noi stiamo facendo una esperienza comunicativa, sia io che scrivo che voi che leggerete.
La cosa importante è che si stabilisca una sintonia, ingrediente indispensabile perché la comunicazione avvenga.
Spero attraverso quest’introduzione di aver contribuito a creare il clima in cui poter dialogare sul tema della psicosi dal punto di vista psicomotorio.

Una descrizione dei termini

  • Il termine psicosi è composta da PSICHE e OSI.

Sul termine psiche non mi dilungo e lo do’ come acquisito. Il suffisso OSI e d’impiego squisitamente medico e si collega ad un significato di malattia, mal funzionamento, discordanza da un modello ritenuto normale.
L’accezione psichiatrica del termine coniata nel 1845 da E.FEUCHTERSLEBEN, si coniuga con il concetto medico di malattia e si differenzia poi in una serie di specificazioni sintomatica, maniaca depressiva, schizofrenica….(6)

L’accezione psicoanalitica si trasforma dall’iniziale concezione freudiana ai nostri giorni. Non possiamo qui seguire tutte le trasformazioni ma solo rilevare gli accenti che hanno portato ad un superamento della divisione nevrosi, psicosi come se la psicoanalisi trattasse solo le prime e non le seconde  per arrivare a Bion con un largo consenso dato alle patologie psicotiche intese soprattutto come  un disturbo del pensiero, ad una rottura tra le varie componenti psichiche e ad un distacco con la realtà.

L’accezione psicomotoria, in linea con il proprio quadro di riferimento, non mi pare dia esplicitamente delle definizioni di psicosi perché è tributaria delle altre discipline, tuttavia penso propendi per un’accezione di psicosi come rottura del rapporto mente corpo, come vedremo più dettagliatamente in seguito.

  • Il termine psicomotricità è anch’esso formato da due elementi PSICHE e MOTRICITA’.

Per psiche si rimanda a quanto detto sopra, per motricità s’intende soprattutto il movimento.
Quello che merita rilevare è come in entrambi i nomi si tratta di evidenziare un legame sia tra psiche e malattie, sia tra psiche e movimento.
La caratteristica etimologica è dunque il legame, direi la comunicazione tra i due lemmi. Tutto dipende da quale comunicazione.

Una parola sul metodo

Il metodo è il percorso, la strada che uno vuole seguire. Già è stato in parte abbozzato con le riflessioni introduttive. Voglio però approfondirlo con altri elementi importanti.
Penso che il metodo scientifico sia un punto di riferimento non esclusivo ma importante nel mercato culturale odierno. Gli psicomotricisti non possono ignorarlo anche se ritengo non debbano essere supinamente soggetti.[7]
Do’ per acquisito il rapporto tra ipotesi, tesi, verifica, almeno nelle sue formulazioni più evidenti, acquisizione che riguarda non solo un uso di tale modello nelle discipline più collegate al mondo medico, ma anche alla riflessione epistemologica che rimanda ad un uso della nostra mente che spesso lavora in questa prospettiva. In fondo anche il mio modo di procedere può essere formalizzato all’insegna di questo modello.Ho in mente delle ipotesi, sostenute da alcune tesi che vorrei dimostrare, in altre parole verificare con voi, attraverso una serie di dati, vuoi argomentativi vuoi esperienziali. Avrete notato come uso un linguaggio colloquiale, come se fossi di fronte a voi che leggete. Fa parte di una scelta di metodo che ho cercato di enunciare nelle riflessioni precedenti. Anche questo rientra in un’ipotesi suffragata  da tesi: ritengo che un codice cosi fatto sia più efficace dal punto di vista comunicativo a fronte di un linguaggio forse più rigoroso ma che rischierebbe di perdere in valenza comunicativa. Ma questa, oltre che una ipotesi, è anche una tesi che si appoggia alla teoria della comunicazione.

Al di là di questo segmento importante del metodo scientifico, vorrei soffermarmi sull’altro elemento determinante nella riflessione sulla scientificità :cioè sulla cosiddetta oggettività della ricerca.
Rimandando a testi più specifici, voglio solo ricordare come una delle più attente riflessioni epistemologiche  applicate alle cosiddette scienze umane, ritiene che l’oggettività non sia riconoscibile nella materialità di un oggetto ma nel punto di vista esplicitato attraverso cui un oggetto viene percepito. Per cui diventa importante la trasparenza sul punto di vista, sulla ottica, attraverso cui viene osservata costruita una determinata realtà. Questo forma la specificità di una disciplina.
E’ proprio per questo che le mie riflessioni sul problema delle psicosi saranno attente soprattutto alla determinazione di una specifica visuale tipica del mondo psicomotorio
Ho parlato del MONDO perché, come dicevo nella introduzione, non mi rifaccio solo alle riflessioni codificate e scritte, ma anche a tutto il mondo esperienziale collegato alla professione psicomotoria, che ancora non è forse stato codificato ma che pur è presente nel mercato culturale ampiamente considerato.

Il punto di vista psicomotorio

Il disturbo del rapporto tra mente e corpo si evidenzia nell’atto motorio in chiave relazionale.
Ajuriaguerra parla del campo psicomotorio sottolineando il tono e la postura come specifici dell’azione psicomotoria.Ma il tono e la postura si evidenziano nella motricità, quindi se si bonifica la motricità si può arrivare a un diverso rapporto tra mente e corpo.
E’ nella motricità, vista come gesto unitario, che si può sperimentare il collegamento più o meno forte tra il pensare e l’agire.

Questa serie di tesi (non complete) penso si possano  derivare dalle varie pubblicazioni e soprattutto dalle pratiche psicomotorie. Spetterà alle eventuali reazioni dei lettori e delle lettrici confermarle o criticarle(effetti della comunicazione, elemento considerato metodologicamente importante.)

Meritano tuttavia una digressione storico concettuale che sintetizzo in questo modo.

La riflessione e la pratica medica, tributarie della filosofia cartesiana, che distingueva la res cogitans dalla res extensa, si è concretizzata nella medicina in una attenzione  al corpo visto soprattutto come macchina. Da qui tutta una serie di strumenti, la cartella clinica, che cercavano in modo preciso una serie di parametri quantificabili, indizi che riguardavano il corpo, nella sua complessità e nella sua ricchezza.
Ma poi arriva un certo Signor FREUD che ci dice che l’uomo è anche libidinale,è attraversato dal desiderio, per cui non ci si può fermare solo al corpo macchina ma lo stesso corpo deve essere visto come animato dal desiderio, non più considerato come una aggiunta ma come un elemento integrante il funzionamento del corpo stesso.

Questo ha, in un primo momento, portato le discipline psicologiche a interessarsi soprattutto del desiderio e della psiche come ordinatrice del desiderio stesso, per giungere a una concezione della psicoterapia, soprattutto basata sulla parola e sulla mente. E’ vero che anche in questo ambito la mente non era solo desiderio ma, attraverso il concetto operativo di inconscio, andava a incrociare anche il corpo, tuttavia bisogna riconoscere che l’attenzione delle discipline psicoterapeutiche classiche di derivazione freudiana accentuavano soprattutto la dimensione relazionale con poca attenzione al corporeo.

La importanza data al corpo, il suo valore ( siamo infatti in una prospettiva oltre che metodologica anche axiologica), è evidente .Ma questo valore è stato il risultato di una scissione, la separazione tra mente e corpo., da cui la assolutizzazione  del corpo e la scientificità viste soprattutto come la fotografia computerizzata del corpo nei suoi meandri più microscopici.
La rivoluzione di Freud è stata allora quella di affermare che il corpo è libidinale, cioè non è più una macchina ma un produttore e un consumatore di piacere, visti come il carburante necessario al suo funzionamento. La macchina non è più allora paragonabile al modello classico della fisica ma ci vuole un nuovo modello di funzionamento che è dato appunto dallo psichico non meccanico. La introduzione dello psichico avviene a volte ancora in modo giustapposto al corpo e abbiamo allora tutte le divisioni presenti in cui gli operatori più avvertiti incorporano lo psichico tra gli elementi del loro sapere, ma lo fanno ancora in modo non correttamente integrato

L’apporto della psicomotricità

Non potendo dilungarmi su tutta la ossatura del metodo psicomotorio e rimandando a lavori più specifici, vorrei soffermarmi su un modello che penso sia importante nella riflessione di questa disciplina: quello dello schema corporeo.
Prendo a prestito un passaggio di Le Boulch, tratto dal suo libro, ormai classico Verso una scienza del movimento umano,
”Lo schema corporeo, o immagine del corpo operatorio, può essere considerato come una intuizione d’insieme, o una conoscenza immediata, che noi abbiamo del nostro corpo, sia nello stato fisico statico, sia in quello dinamico; questa conoscenza si basa sul rapporto tra le differenti parti, o tra i segmenti, e soprattutto sulle relazioni delle parti come insieme e lo spazio che le contiene”
Commentando questa frase  Marina Massenz e Elena Simonetta, in un interessante pubblicazione che ho preso come punto di riferimento per capire cosa due operatrici del settore pensano sul problema, affermano:
”La presa di coscienza della  propria corporeità, la relativa immagine mentale che ci si forma di essa e i vissuti legati alla esperienza affettiva dl corpo sono infatti l’oggetto della attività psicomotoria e costituiscono la base della strutturazione della schema corporeo…..”
Più avanti proseguono:
”La nostra esperienza con i pazienti psicotici ci ha mostrato la importanza di far sperimentare vissuti che attivino tutti e tre gli aspetti  che partecipano alla costruzione  e integrazione della unità corporea e della sua immagine: Questi tre aspetti confrontabili e sovrapponibili (la sottolineatura è mia) che concorrono a definire lo schema corporeo cosciente individuale sono: lo schema corporeo incosciente, la barriera tattile, l’immagine corporea cosciente”
(Vengono assieme citati tre autori a supporto Head-Anzieu_Schilde).[8]
Da questo testo si evince che  l’attenzione al corpo non prescinde dal legame con la mente,che la metodologia psicomotoria fa esperimentare vissuti che attivano sia la dimensione corporea(la pelle) che la dimensione percettiva. Il corpo, si afferma, prima è vissuto e poi è percepito,nell’intreccio relazionale affettivo che costituisce il clima della pratica psicomotoria.
Questo accenno dato al  prima vissuto e poi percepito penso sia una delle specificità di questa disciplina che merita di essere sottolineato perché da un apporto notevole al problema delle psicosi che abbiamo iniziato a considerare.

Se infatti pensiamo (ipotesi- teoria) che le psicosi siano soprattutto disturbi della relazione mente corpo, coinvolgendo una serie di scissioni possiamo domandarci come la psicomotricità entra in questo settore re e  quali mezzi abbia per sanare questa divisione.

Se arriviamo a dire che, attraverso il modello della schema corporeo, osservato e messo in  azione terapeuticamente, si curano le scissioni tra la mente e il corpo, abbiamo dato un contributo alla presa in carico dei pazienti psicotici e abbiamo, nello stesso tempo reso un servizio alla disciplina che trova una verifica delle sue ipotesi e un arricchimento del suo strumentario metodologico.

Questo porta a una collaborazione con le discipline più a orientamento psicodinamico che già da tempo hanno lavorato con le psicosi approntando alcuni strumenti utili.
Mi riferisco soprattutto ai meccanismi di difesa e alle operazioni di scissione che possono essere riscontrate apertamente nei pazienti psicotici.
Quando sono in presenza di questi meccanismi, io sono legittimato a pensare a una psicosi sottostante, tanto piu’ grave, quanto più forti sono i meccanismi stessi. So che non possono essere  abbattuti facilmente  e che a volte non devono essere abbattuti. So pero che il superamento di ogni scissione è un cammino auspicabile.
Nell’universo psicomotorio mi pare si riscontri un interesse per una collaborazione con gli orientamenti psicodinamici, soprattutto in quella prospettiva chiamata relazionale.
Si tratta di vedere come ristabilire o creare un collegamento. Un mio paziente mi diceva che venendo da me in un trattamento psicoterapico aveva  appreso a innestare la spina in una presa di corrente.
Collegamento che evidentemente prima era assente e che creava molte difficoltà a livello di pensiero e di azione.Attraverso gli strumenti psicoterapici si tenta di lavorare per il ristabilimento di questo collegamento.
Ritengo che questo avvenga anche a livello psicomotorio con gli strumenti propri della psicomotricità.
A me ora non interessa elencarli, penso siano più capaci di me i lettori e le lettrici che si occupano professionalmente di psicomotricità. A me interessa vedere come l’orientamento normativo metodologico di base sia lo stesso. Qualora io prenda in considerazione le tesi precedenti e ritenga che la psicosi sia soprattutto una rottura, un deficit di comunicazione inteso nella sua accezione più vasta- non solo comunicazione tra persone ma comunicazione tra parti di sé-allora questo orientamento diventa una guida molto larga, ma sufficientemente indicativa, per utilizzare gli strumenti propri delle varie discipline.
Mi piace ricordare un articolo di Giovanni Chiavazza dove nel raffronto e nelle differenze tra psicoterapia  e psicomotricità, passa a sottolineare le uguaglianze che si trovano focalizzate soprattutto sul nostro assunto che vede la psicosi come una rottura. Afferma dunque:
”Anche lo psicomotricista cerca di ricomporre l’unitarietà delle parti separate: il suo volto e quello estraneo del bambino, ma lo fa su un terreno del modellamento tonico,mediante la espressività corporea e l’interazione…”.[9]

Si tratta quindi di indirizzare le proprie forze, nella teoria e nella pratica clinica, per vedere di verificare questa ipotesi che io trovo molto feconda  e  molto utile

  • perché, nella sua larghezza, permette di fare ampie sperimentazioni e nello stesso tempo getta dei parametri di riferimento molto proficui;
  • perché metodologicamente fa si che non si rimanga nella totale indeterminatezza o nell’apertura indifferenziata a tutto.

Penso infatti che questo sia proprio la negazione di ogni scientificità vista  come limite e come controllo.
Nelle nostre discipline infatti ci vogliono dei parametri su cui fondarci, questo per poter uscire dalla privatezza degli interventi e per sottoporre il nostro agire a una pubblicità: cosa indispensabile per ogni metodo scientifico.
La pubblicità si coniuga poi con la trasparenza, coefficiente utile per poter scambiare le nostre esperienze.
Tutto questo porta a un’esigenza di formazione che ritengo debba essere evidenziata.

Se le impostazioni date sono corrette, se la psicosi è un deficit di collegamento, se il corpo non è separato dalla mente e non è una macchina, se il vissuto corporeo è un intreccio di affettività e di relazionalità in movimento, lo psicomotricista non può ignorare la complessità della propria affettività corporea, le dinamiche sottostanti e tutti i contributi che le discipline attente alla relazione psichica hanno detto. Per cui la formazione psicomotoria dovrà dare una maggiore attenzione a questo aspetto
Ciò vale anche per le discipline psicodinamiche che non hanno avuto una sufficiente attenzione al corpo e necessitano di un adeguato aggiornamento. Questo porta anche a una valorizzazione della supervisione intesa come un possibile recupero di nozioni già acquisite o al limite anche apprendimento di un universo vuoi linguistico vuoi culturale aperto alle dimensioni psicodinamiche. Tutto questo senza rinunciare, anzi avvalorando ancora maggiormente, le competenze psicomotorie specifiche.
Sottolineo spesso nelle supervisioni come le psicomotricisti devono essere a volte più preparate delle psicoterapeute proprio perché la loro azione, concreta, fatta di gesti, di gioco,di corporeità manifesta deve tener conto di tutto un contesto molto più ampio e molto più complesso.

Le Psicosi e il gruppo curante

Oggi si propende sempre di più a sottolineare come lo psicotico abbia bisogno non di un solo intervento ma di un approccio integrato. Anche questo ha sotto una ipotesi di fondo: che l’essere umano non è un segmento isolato ma vive in un gruppo ed è soprattutto questa gruppalita’ mancante che ha spesso generato il disturbo ed è quindi attraverso una bonifica di questo apporto che si può sperare in un miglioramento.
Ho appositamente parlato di miglioramento e non di guarigione. Infatti uno degli elementi ancora tributari della concezione corpo macchina si evidenzia in questo problema della guarigione.
Problema che entra in tutto il circuito comunicativo.
Infatti sono i parenti che vogliono o pensano alla guarigione, è il paziente che vede le cose nella stessa prospettiva ma è anche l’operatore che a volte si considera come un buon meccanico che deve ripristinare una macchina allo stato originario. Coloro che operano nel settore sanno come questo avviene spesso e sia comprensibile, ma sanno anche che non è corretto. L’operatore infatti non è un meccanico, la realtà umana e complessa, la psicosi è una caratteristica della mente umana, ci accompagna forse un po’ tutti e deve essere presa con molta cautela.
Potrebbero sembrare queste delle osservazioni scontate o moralistiche . Io le ritengo invece molto importanti soprattutto nel legame che hanno tra di loro.
E’ infatti solo il cambiamento di alcune premesse che possono attivare un approccio diverso.
Un diverso  modo di concepire l’uomo porta a un diverso  modo di agire. Un diverso modo di concepire la psicosi  necessità di una nuova metodologia di cura. Una diversa concezione della cura porta a un nuovo assetto terapeutico, ma questo è correlato con un nuovo assetto mentale. Tutto si relaziona, quello che conta è leggere questa relazionalità dandole la importanza che merita o che noi pensiamo sia giusto darle.
Come si avrà capito per me questo è molto importante, ritengo debba guidare tutte le riflessioni e le azioni, so anche che questo è più facile essere detto che attuato, ciò non toglie che ci ho provato per vedere cosa capita a chi avrà la pazienza di aver letto queste note.

La necessità della interdisciplinarietà [10]

Già dalle osservazioni precedenti si capisce come  ritengo la collaborazione tra le varie discipline molto importante. Anche questo si fonda su di una concezione della verità plurale e sulla impossibilità di un ‘unica lettura della realtà. Proprio perché la realtà  è complessa non può essere ingabbiata in formule esaustive.Allora è  importante far dialogare le varie discipline perché in un rapporto tra i vari saperi ci sia la possibilità di una lettura più adeguata della realtà.
Questo vale anche  e soprattutto per le psicosi, situazioni per definizione molto complesse.
E’ possibile e direi auspicabile lavorare assieme psicomotricisti,psicoterapeuti, educatori,psichiatri, tutti rispettosi delle proprie competenze che tuttavia devono danzare assieme. Quando si riesce a fare questa operazione spesso si ottengono dei risultati notevoli.
Ritengo tuttavia che, nelle diversità dei singoli approcci, ci debba essere un momento comune, qualcosa che unisca e faccia da tessuto ai vari interventi: penso alla attenzione a quello che ho cercato di descrivere come il nucleo della psicosi, la scissione tra mente e corpo. Se tutto il gruppo curante lavora dialogicamente si passa un messaggio di unità che serve ai singoli operatori e soprattutto ai pazienti ad accogliere e elaborare questo messaggio.

A mo’ di conclusione

Ho cercato di mostrare come una accezione comunemente condivisa di psicosi come rottura tra mente e corpo,possa guidare la pratica terapeutica dal punto di vista psicomotorio. La specificità degli strumenti di questa disciplina sembrano aiutare la ricomposizione delle parti scisse.
La importanza di partire da ipotesi condivise permette una sperimentazione che, una volta resa pubblica, può favorire la costruzione di un approccio scientifico.
Verificare queste ipotesi potrebbe essere un punto di partenza per un dialogo anche con le altre discipline terapeutiche e  per un approfondimento. Non necessariamente si dovrà trattare di una verifica positiva, sarebbe sempre utile anche una falsificazione per un discorso sempre più adeguato a quello che ci proponiamo che è cercare di prendersi cura in maniera adeguata dei nostri pazienti che soffrono.
Questa conclusione si rifà a una esperienza di conduzione di gruppi o di supervisioni dove la cosa più importante è cogliere quello che unisce, la dimensione positiva, per poi arrivare anche a una dimensione più critica.Quello che vale nella pratica clinica e nelle esperienze di aiuto metodologico penso valga anche nella riflessione teorica e costituisce un modello antropologico con valenza etica. Badare più a quello che unisce che a quello che divide diventa una meta-norma dell’agire umano e anche della dimensione professionale.Senz’altro è una norma del nostro funzionamento mentale che, una volta capito questo, si appronta a un uso del proprio pensiero e del proprio corpo in modo più sano.
Vorrei chiudere con l’elenco delle caratteristiche che vengono attribuite al metodo scientifico o meglio agli operatori della scienza:Curiosità-Competenza-Creatività.
Essere curiosi significa porsi  e porre delle domande
Essere competenti significa essere professionali, cioè corrispondere a dei modelli che possono essere controllati e resi pubblici
Essere creativi è un dono che presuppone una libertà interiore e una fantasia non imbrigliata  applicata al rigore dei modelli.
Sono consapevole che le mie conclusioni non chiudono affatto ma vorrebbero aprire la mente di chi legge alla curiosità alla fantasia e alla creatività….condivisa.

Note bibliografiche

  1. Mi permetto di rimandare a un mio articolo dove è ampiamente documentato il modello comunicativo e la importanza della comunicazione in chiave metodologica:  G. PALO, La bioetica nella riflessione e nella prassi medica. In: Il coma postanossico, Arico, Milano 1987. id. La comunicazione nel mondo contemporaneo, in Bioetica e cultura,,16,VIII(1999)2 Palermo 2000
    Sul problema della non onnipotenza linguistica rimando a un autore polacco poco conosciuto in Italia, ma molto utile soprattutto in chiave terapeutica,ALFRED KORZBINSKI : Per la divulgazione in Italia del pensiero di A. Korzbinski Cfr. M. BALDINI, La tirannia e il potere delle parole, Armando, Roma 1980.
  2. La introduzione del termine “etica” è importante perché ritengo l’etica una dimensione strutturante il soggetto e il gruppo. Senza etica non si vive e paradossalmente senza etica si diventa psicotici. Cfr.G.PALO, Per una metodologia comunicativa: asterischi etici, in Recent Avances,Apice,Trieste 1989.
  3. Per quanto riguarda il discorso epistemologico soprattutto applicato al mondo terapeutico Cfr.F.CORRAO, Modelli psicoanalitici Mito Passione Memoria, Laterza, Bari 1992 Pagg. 5-18.
  4. Sul problema ermeneutico Cfr.G.GADAMER, Verita e metodo,Fabbri Ed.,Milano 1990. Applicato al mondo terapeutico Cfr.E.BORGNA, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000.
  5. La sottolineatura dell’apporto dei  lettori riguarda un vasto problema collegato con la verifica dati che è cruciale per le psicoscoscienze, ma che tuttavia bisogna affrontare se si vuole fare un discorso corretto e soprattutto verificabile.Cfr.G.CATTANEO-F.LAUDISA, Alcune osservazioni sul rapporto tra scienze empiriche e psicoscienze in PsicomotricitàAnno II n.04 ottobre 98, pagg. 29ss.
  6. Sulle psicosi Cfr. BION A. L’analisi degli schizofrenici, Armando,Torino 1980 e L.BINSWANGER, Per una antropologia fenomenologica, Feltrinelli, Milano 1970
  7. Sul problema epistemologico collegato alla metodologia scientifica rimando a un testo che ritengo molto importante anche se poco conosciuto:AA.VV., EPISTEMOLOGIA E SCIENZE UMANE,soprattutto il contributo di E:AGAZZI, Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e della oggettività nelle scienze umane,Massimo Editore, Milano 1979 pagg.57-76.
  8. M.MASSENZ-E.SIMONETTA, Dal corpo fantasmatico all’identità corporea, Franco Angeli, Milano 1999.
  9. Cfr.G:CHIAVAZZA, Note per un dibattito sulla formazione in psicomotricità, in Psicomotricità’, anno II,04, Ottobre 1998.
  10. Cfr.G.PALO, Il coma postanossico, op.Cit. Articolo apparso sulla Rivista PSICOMOTRICITA’ Milano 2003.

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