L’abitare una esperienza dell’uomo

” Non dobbiamo dimenticare che siamo ancora
abitanti delle caverne: le caverne sono i nostri cuori”      

(GIBRAN: Massime Spirituali)

Sono abituato a dare le coordinate di quello che scrivo, enunciando il metodo delle riflessioni che costituiscono la ossatura di una relazione scritta o parlata.
Ritengo che questo faccia parte di una regola del gioco da rispettare per chi si trova a dover comunicare perché l’ ipotetico ricevente sappia il percorso e le regole comunicative di chi scrive o parla.
Penso che questo sia collegato alla mia casa  interiore, abbia costituito un metodo di costruzione della stessa e ne favorisca la abitabilità.[1]
Sono già entrato nel vivo del tema che vorrei  percorrere con una serie di associazioni libere. Si tratta di un metodo rubato alla psicoanalisi che professo per parecchie ore al giorno e che mi occupa culturalmente come interesse conoscitivo e epistemologico. Il metodo ha un suo statuto clinico che ormai fa parte del sapere  diffuso. Lo estrapolo per metterlo alla base di una serie di riflessioni  che cercherò di rendere trasparenti mentre procederò nel cammino narrativo.
Il metodo di base è dunque quello delle associazioni libere con una attenzione alla dimensione etica/antropologica intesa come una serie di scelte operate in base a determinati valori con uno statuto di fattualità molto consistente.
Potrà sembrare strano mettere assieme le associazioni libere e l’etica. Può essere ritenuta una stravaganza o una eresia. Io la ritengo una congiunzione importante perché anche aderire al metodo delle associazioni libere fa parte di una etica, è collegato con un sistema di valori che entrano in azione allorché decido di operare in questo modo. Se scelgo di seguire questo metodo devo escluderne altri, che pure mi potrebbero piacere.[2] Sempre le mie memorie associative mi portano a narrare che avevo provato a stendere queste note attraverso una griglia metodologica più complessa che partiva dal momento linguistico, con forti coloriture semantiche, per passare poi a una riflessione propria della sociologia della conoscenza, che vede il pensiero e il conoscere legato alla struttura e alla dimensione sociale, per poi sfociare in una riflessione più tipicamente psicoanalitica, che esaminava l’abitare in relazione ai processi di identificazione  in collegamento al proprio mondo interno (la propria casa interna).
Avremo avuto allora la sequenza tra un metodo linguistico/semantico, una sociologia attenta alla epistemologia, un momento analitico con regole legate alla metapsicologia o comunque collegato al sapere alla esperienza psicoanalitica.
Ci sarebbe stato un maggior rigore, un maggior controllo che avrebbe soddisfatto di più la mia parte che ama la precisione, il logos dimostrabile e controllabile.
Ma scelgo invece un narrare che predilige il racconto, la spontaneità delle riflessioni collegate anche al sentimento, al quotidiano, al vissuto che si può solo tentare di narrare e poco schematizzare in sequenze poi rigorosamente controllabili.
è una scelta e quindi è legata a un etica, quella che ho cercato di accennare e che al momento ho deciso di prediligere
Ecco allora che la mia CASA è questa, abito in questo luogo.

Etica e Casa

Può sembrare strano questo collegamento, potrebbe apparire forzato dalle tematiche che voglio svolgere.
Invece il legame è profondo, è addirittura etimologico, cioè va alle radici, alle fondamenta della parola etica.
Andare alle fondamenta mi richiama subito un gioco linguistico legato anche alla abitazione. Senza fondamenta non si costruiscono case o, se si fanno, rischiano di cadere.
La metafora inizia subito a fare da  regina. il metodo delle associazioni libere infatti predilige il gioco delle contiguità di significati, i legami a volte oscuri da decifrare ma sempre presenti in una lettura più attenta.
Le fondamenta della casa sono anche le fondamenta del pensare, dell’agire, sono le radici di una persona, di un popolo, di una cultura.
Una società senza radici, senza fondamenta non sta in piedi, un popolo senza salde ramificazioni non si può chiamare tale, una persona senza radici può essere fortemente disturbata, non avere la sua identità e quindi essere preda di angoscia, di disgregazione, persino di annullamento,
Ma cosa  ha a che fare questo con l’etica?
La etimologia di etica è significativa per il nostro tema. Etica deriva da ethos che significa costume e rimanda a significati che riguardano la convivenza e la abitazione, la coabitazione. Questo vale anche per il termine tedesco “sitte” che si rifà alla radice indogermanica “suedh” ed etimologicamente significa “domicilio” è collegato  con lo “svadha”altoindico, che rimanda a proprietà’, abitudine, costume e alle derivazioni latine “sodalis” (camerata=camera), “suesco” e “consuetudo” (abitudine, tradizione, costume, uso).
Il contenuto del termine costume implica tutto ciò’ che rende possibile la convivenza umana, che mette in rilievo una situazione ordinata, regolare, familiare, abituale, che dà sostegno, che è controllabile, ovvia, universalmente praticata e di cui si è responsabili comunitariamente.
Da qui l’impiego dell’altro termine “morale” che evoca significati affini al costume, all’abituale, alla CASA.[3]
Etica e morale, collegate alla “casa”. Collegamento profondo, addirittura etimologico, ma perso nel tempo e assolutamente assente nella cultura di oggi, anche la più specializzata.
Ricordo di aver dovuto revisionare una traduzione di un importante lavoro di etica dove il curatore aveva tradotto etica come “natura della cosa” e non invece come si doveva “etica come natura della casa“.
L’etica infatti è CIO’ che è di casa, l’etica per una persona costituisce il reticolo delle norme su cui si regge, è il fondamento della persona, sono le mura, le finestre, le porte, il tetto della sua struttura personale, è collegata con la sua identità’.
Le mie associazioni libere (non so se sono poi tanto libere!) corrono al testo freudiano, al Super io e a tutto quello che è stato detto e scritto su questo importante elemento strutturale della metapsicologia freudiana. Non voglio addentrarmi in questi complicati anche se interessanti meandri, vorrei solo ricordare come la giusta ricomposizione di un super io  rigido non cancella il fatto morale e la casa della persona, la quale, anche dopo una seria analisi, non potrà’ `distruggere questa sua dimensione, anche se la potrà’ modificare.[4]

Vedere cosi’ l’etica mi pare di una importanza enorme perché’ la si unisce alla persona, diviene un fatto da cui nessuno può’ prescindere e viene a valersi di una simpatia molto diversa dalle immagini di muffa  e di rigidità’ ferrea che solitamente sono attribuite a questa realtà’.
Se la nostra etica è la nostra casa, le strutture della nostra personalità’ sono anche etiche, riguardano quello che riteniamo di Dover o di non Dover fare, si collegano con quanto riteniamo giusto, fanno parte della solidità’ del nostro mondo interno, della nostra  stanza più’ intima in cui ciascuno di noi si ritrova a giocare la sua esistenza nelle piccole e nelle grandi scelte.

Non so quanto le mie associazioni siano state efficaci a trasmettere quel forte legame tra etica, abitazione, casa.
Io so che conosco una persona soprattutto per le sue scelte, conscie e inconscie, nel dire o non dire una cosa, nel lasciare spazio al fantastico o nel comprimerlo, nel dare vita ai propri sentimenti e alla propria affettività’ o nel giocare sul registro razionale. Sono tutti elementi importanti che fanno di una persona quella che  è; ma quello che una persona “è”, la sua identità’ è la sua casa, la sua abitazione, quello che la costituisce con quelle radici, quella fondamenta, quelle finestre e quelle porte.
L’etica traccia i confini, dice le regole, delimita i ruoli. Come la casa ha dei perimetri, delimita un territorio, ripara dalle intemperie, fa sentire più’ sicuri.
Sempre in associazione all’etica e all’abitare, mi si accende un collegamento con l'”abitudine”, nel senso di abito virtuoso, come la riflessione della filosofia scolastica lo intende e come fa parte di una acquisizione culturale comune alla riflessione occidentale tributaria di questa filosofia.
L’abitidine virtuosa significa far abitare la virtù’ nella propria esistenza.[5]

La identità e il contenitore

Una delle scoperte più’ importanti della riflessione e della prassi psicoanalitica è data dalla importanza che sempre di più’ viene data al “contenitore” nei compiti dello sviluppo e della sanità’ psichica.

Il primo contenitore è la madre che poi si amplifica a tutte le altre esperienze che ne riproducano le caratteristiche.
A livello epistemologico questo porta alla descrizione, estremamente interessante, della nascita del pensiero.
E’ BION, uno psicoanalista inglese di derivazione kleiniana, che sviluppa queste riflessioni e ci dice che il pensiero si può’ evolvere solo in determinate condizioni che sono si’ di ordine bio/fisiologico ma soprattutto psichiche. [6]
Forse per primo in maniera cosi’ chiara sottolinea la relazione tra il mondo emozionale e la nascita del pensiero. Egli sostiene infatti che è solo in una situazione emotiva sana che è possibile per il bambino cominciare a pensare.
AFFERMA CHE CIÒ’ AVVIENE SE UNA MADRE O UN ALTRA PERSONA CI AIUTA A ELABORARE LE NOSTRE PAURE, A SOSTENERE LE NOSTRE EMOZIONI, A FAR CIRCOLARE ASSIEME EMOZIONI E PENSIERO.
Questo ci porta al rapporto contenitore/contenuto. Se non esiste un contenitore, non si può’ produrre un pensiero, ma se non si produce pensiero non c’è’ umanità.[7]
La casa è pure un contenitore, un contenitore di emozioni, uno spazio necessario per delimitare i nostri confini, per soddisfare i nostri bisogni primari, per sviluppare i nostri desideri.
Anche la stanza di analisi è questo contenitore, è la casa dove il soggetto può essere contenuto, respirare un aria di famiglia, sentirsi protetto, scoprire le capacità di pensare proprio perché’ vengono date le condizioni per fare questo.
Pensare sentendosi contenuti, abitare uno spazio che si sente proprio e non ostile, conoscere i propri angoli, i quadri, le sedie, gli oggetti sparsi nella stanza di analisi significa fare una esperienza di abitazione “buona” in cui la presa di possesso di un luogo, il sentirlo come proprio, permette di condividerlo con un altro realizzando una esperienza di “coabitazione” che abbiamo chiamato la tipica esperienza morale.
Tutto questo ci  rimanda a quello che gli psicoterapeuti chiamano il, “setting”, una parola semplice, inglese che rimanda però a una ricchezza di indicazioni metodologicamente preziosissime.
Innanzitutto setting (le regole dl procedere terapeutico) rimanda a “casa”.
Abbiamo visto come la radice tedesca  è “sitte” che si rifà ad abitazione.
Il setting è una serie di regole molto concrete che vanno dagli onorari, agli orari, al durare della seduta, al luogo della seduta stessa. La stanza di analisi non si può cambiare, è una abitazione con caratteri di fissità. Queste regole (questa etica) sono giudicate da tutti coloro che non applicano metodologie selvagge come importantissime e come contenitori fruttuosi per gli esiti terapeutici, a volte più’ importanti dello stesso momento interpretativo.
è per questo che i terapeuti “seri” osservano un setting, che può’ variare da scuola a scuola, ma che non può’ non esserci. Ma è proprio per questo che il setting si collega alla terapia, alla abitazione e alla importanza di questo per una vita sana.[8]
La casa è uno strumento indispensabile per una vita umanamente valida. E’ cosi’ importante che ha un riverbero sul mondo interno a livello di genesi della personalità’ o come strumento terapeutico per r rimodellare possibili anomalie o difficoltà’.

La casa contenitore

Nella esperienza analitica – lo abbiamo un  po’ accennato – la casa è di una importanza enorme: nei sogni, nelle fantasie, nei racconti è un elemento sempre presente.
Le varie abitazioni accompagnano la storia del soggetto  e ne scandiscono i ritmi di percezione e di consenso.
L’abbandono, il traslocco di una casa  segnano – soprattutto per la donna – una esperienza a volte drammatica, con un lutto paragonabile alla perdita di una persona cara.
L’acquisto di una casa traccia di solito il confine tra una identità’ in balia del nulla e la riscoperta di un proprio posto, di un proprio ruolo, di un significato che fa da radice al proprio essere.
Questa importanza della casa per il mondo interno si traduce poi in una serie di scelte esterne che vanno dall’arredamento ai consigli per il costruttore.
Ma l’architetto entra in associazione  con un manifesto di due personaggi importanti della architettura comasca, Ico Parisi e Francesco Somaini, che lanciano-negli anni sessanta- il  programma dei “contenitori umani”: “..proponiamo contenitori umani, perché la casa di oggi e di domani sia diversa, perchè sia una casa aperta e libera da schemi, perché da queste libertà sorgano nuove e migliori città, perchè’ l’uomo abbia un rapporto nuovo con la sua casa, perché,l’uomo ritrovi l’ambiente fantastico, perché l’uomo viva nei suoi sogni. Sappiamo che i contenitori umani sono oggi solo una idea, una proposta, ma siamo sicuri che  domani in qualche modo anche diverso, saranno una realtà..”. (9)
Mi sembra particolarmente significativa questa citazione perché’ collega tutta una serie di associazioni analitiche con il problema creativo della abitazione che, a sua volta, si unisce alla dimensione etica come mondo dei valori utopici da realizzare concretamente.
L’abitare come mondo interno, trova nella casa, contenitore umano, lo spazio e le condizioni per un creativo momento di fecondazione in una relazione che lega assieme il logos al mito.

A mo’ di conclusione

L’abitare, parola molto ricca di significati, è stato da me esplorato seguendo il metodo delle associazioni libere, che apparentemente non dovrebbero avere un percorso chiaramente distinguibile. Ma sotto le associazioni libere c’è sempre un percorso, un possibile filo che si può decifrare: operazione svolta dalla interpretazione.
Rileggendo queste mie note mi pare di aver seguito questo percorso:
La prima abitazione, che è anche la prima esperienza antropologica è la gestazione nel grembo materno, che diventa la prima casa, la prima esperienza dell’abitare. In questa esperienza  si vive il contenimento in maniera esemplare per tutti gli altri contenimenti.

Poi  si abbandona questa prima dimora per entrare in una casa  vera, fatta di mura o comunque di manufatti che la delimitano e proteggono.
E’ la prima casa che accoglie il bambino che esperimenta a livello più profondo il passaggio tra una casa di carne e una di cemento, tra una casa vitale e una inerme.
E’ per la durezza di questo passaggio che è necessario ammorbidire il transito attraverso una supplenza delle dimensioni psicologiche che aiutino il bambino a sopportare  il “colpo” di un traslocco così violento. E’ un passaggio che può arrecare traumi e che  ed esige quindi una seconda abitazione idonea a attutirlo.

E’ in questa ottica che la casa diventa il sostituto del primo contenitore ed è per questo che l’abitazione svolge una funzione importantissima a livello di protezione e di traccia di confini psichici.
Questi elementi, per quell’intreccio complicatissimo che esiste tra il somatico e lo psichico diventa vitale per la costruzione delle proprie emozioni e della propria affettività assieme alla capacità di pensare dove-lo abbiamo visto con Bion-il pensiero diviene il contenitore delle emozioni, la casa.
La costruzione di una abitazione interna diventa importante per la propria identità, là dove una persona è capace quasi di portare dentro di sé queste caratteristiche dell’abitare e si costruisce questa struttura interna che l’aiuta a diventare abitatore del mondo, sopportando anche gli spazi aperti, non più delimitati da mura; ma per poter abitare il mondo è necessaria aver abitato una casa.
Al di là del plesso problema dell’interiorizzazione dell’abitare, rimane importante questa esperienza anche per la sua dimensione sociale.
La casa infatti diviene  un segno /strumento importante per concretizzare, con delle mura di sasso, in maniera concreta, le funzioni che abbiamo attribuito al primo contenitore (la madre/casa) con le successive esperienze.
Le varie modalità con cui si costruisce la città diventano i modi con cui si esprime in maniera collettiva la esperienza primordiale dell’abitare, con l’aggiunta della dimensione estetica e la concretizzazione di una visione del mondo che ha a che fare con l’etica.
Il modo di costrure le abitazioni del villaggio o della metropoli divengono infatti collegate alle maniere di intendere la vita, di concretizzare la “QUALITA’ DELLA VITA ” e sono dunque in relazione all’etica.
L’abitare e l’essere abitato diventano così delle categorie altamente cariche di significati che abbracciano il mondo antropologico, nelle sua valenze più profonde, un antropologico che ha a che fare con lo psichico e che riguarda la storia delle culture con i vari tentativi di dare uno spazio abitativo e uno spazio interno agli abitatori del mondo..

Note Bibliografiche

  1. Per un approfondimento del problema metodologico collegato alla comunicazione mi permetto  di rimandare al mio intervento fatto al Congresso Internazionale di Medicina Palliativa, Per una metodologia comunicativa, Asterischi etici, in Recent Avances, Apice, Trieste 1989. 
  2. Sul Problema dell’etica: PALO, Per una lettura del fatto etico, Assisi 1978; Id., LA MEMORIA ETICA in, Smemorata memoria, Alice, Lugano 1990. Dove ho cercato di evidenziare come l’etica non è solo una disciplina o un trattato filosofico, ma è ricca di contenuti concreti, è un fatto antropologico con valenze psicologiche e con attributi sociali. E’ qualcosa che fa parte del Bio/Psico/Sociale.
  3. Per un maggior dettaglio sulla etimologia del termine etica cfr. KORFF. W., Introduzione all’etica teologica, Assisi 1978, pag. 52 ss.
  4. FREUD S., La scomposizione della personalità psichica, in Opere Vol. 11, pag170 ss. Boringhieri, Torino 1980.
  5. Cfr. PALO G.,  7×7 vizi capitali:sette riflessioni teoriche estemporanee, Una lettura psicoanalitica dei setti vizi capitali, NodoLibri, Como, 1993.
  6. Per una introduzione al pensiero di Bion, cfr. MELTZER D., LO SVILUPPO KLEINIANO, Significato clinico dell’opera di Bion, Vol 3, Borla, Roma 1989.
  7. Per un maggior approfondimento rimando a un mio lavoro di prossima pubblicazione, L’arte del pensare il pensiero come arteRelazione tenuta al Centro Ricerche Psicologiche, Milano 1992.
  8. Sul problema del setting cfr. GENOVESE C. Setting e processo psicoanalitico: Antologia di classici sulla teoria della tecnica, Milano, Cortina, 1988.
  9. AA. VV., Ico Parisi e Luisa, Nodo Libri, Como, 1970.

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