Etica: la casa del soggetto psicomotorio

Parlare di etica vuol dire inoltrarsi in un cammino complesso, ricco di crocevia e di diramazioni. 
Scelgo(termine caro allo strumentario etico) una strada apparentemente più semplice, consapevole dei limiti, ma fiducioso che, obbedire a questi limiti, è già una proposta etica.

1.

Vorrei parlare dell’etica come una realtà, un fatto che ci concerne tutti. Non è un optional. Parlare di etica come un fatto significa darle uno statuto di concretezza e non relegarla al mondo degli ottativi inefficaci, significa anche poterla esaminare con degli strumenti controllabili che non siano demandati solo alle riflessioni filosofiche ma che attengano anche a un descrizione più empirica.
Per questo mi rifaccio all’etimologia  che rimanda all’abitudine, alla  consuetudine, a ciò che è di casa, da cui ho fatto derivare il titolo.

ETICA E CASA

Può sembrare strano questo collegamento, potrebbe apparire forzato dalle tematiche che voglio svolgere.Invece il legame è profondo, è addirittura etimologico, cioè va alle radici, alle fondamenta della parola etica.
Andare alle fondamenta mi richiama subito un gioco linguistico legato anche all’abitazione. Senza fondamenta non si costruiscono case o, se si fanno, rischiano di cadere.
La metafora inizia subito a fare da  regina. Il metodo delle associazioni libere, infatti, predilige il gioco delle contiguità di significati, i legami, a volte oscuri da decifrare, ma sempre presenti in una lettura più attenta.
Le fondamenta della casa sono anche le fondamenta del pensare, dell’agire, sono le radici di una persona, di un popolo, di una cultura, di un gruppo professionale.
Una società senza radici, senza fondamenta non sta in piedi, un popolo senza salde ramificazioni non si può chiamare tale, una persona senza radici può essere fortemente disturbata, non avere la sua identità e quindi essere preda di angoscia, di disgregazione, persino di annullamento, Non vale forse questo anche per una professione che si collega direttamente con il problema della identità?
Ma cosa  ha a che fare questo con l’etica?
L’etimologia di etica e’ significativa per il nostro tema.

Etica deriva da ethos che significa costume e rimanda a significati che riguardano la convivenza e l’abitazione, la coabitazione. Questo vale anche per il termine tedesco “sitte”che si rifa’ alla radice indogermanica “suedh” ed etimologicamente significa”domicilio”e’ collegato  con lo “svadha”altoindico, che rimanda a proprietàabitudine, costume e alle derivazioni latine “sodalis” (camerata=camera), “suesco” e “consuetudo” (abitudine, tradizione, costume, uso) [1]

Il contenuto del termine costume implica tutto ciò che rende possibile la convivenza umana, che mette in rilievo una situazione ordinata, regolare, familiare, abituale, che da’ sostegno, che e’ controllabile, ovvia, universalmente praticata e di cui si e’ responsabili comunitariamente.
Da qui l’impiego dell’altro termine “morale” che evoca significati affini al costume, all’abituale, alla CASA [2]
Etica e morale, collegate alla “casa”. Collegamento profondo, addirittura etimologico, ma perso nel tempo e assolutamente assente nella cultura di oggi, anche la più specializzata.
Ricordo di aver dovuto revisionare una traduzione di un importante lavoro di etica dove il curatore aveva tradotto etica come “natura della cosa” e non invece come si doveva “etica come natura della casa“.
L’etica, infatti, e’ ciò che e’ di casa, l’etica per una persona costituisce il reticolo delle norme su cui si regge, e’ il fondamento della persona,, sono le mura,le finestre, le porte, il tetto della sua struttura personale. E’ collegata con la sua identità.
Le mie associazioni libere(non so se sono poi tanto libere!)corrono al testo freudiano, al Super io e a tutto quello che e’ stato detto e scritto su quest’importante elemento strutturale della metapsicologia freudiana. Non voglio addentrarmi in questi complicati anche se interessanti meandri, vorrei solo ricordare come la giusta ricomposizione di un super io  rigido non cancella il fatto morale e la casa della persona, la quale, anche dopo una seria analisi, non potrà `distruggere questa sua dimensione, anche se la potrà modificare. [3]

Vedere così l’etica mi pare di un’importanza enorme perché la si unisce alla persona, diviene un fatto da cui nessuno può prescindere e viene a valersi di una simpatia molto diversa dalle immagini di muffa  e di rigidità ferrea che solitamente sono attribuite a questa realtà.
Se la nostra etica e’ la nostra casa, le strutture della nostra personalità sono anche etiche, riguardano quello che riteniamo di Dover o di non Dover fare, si collegano con quanto riteniamo giusto, fanno parte della solidità del nostro mondo interno, della nostra  stanza più intima in cui ciascuno di noi si ritrova a giocare la sua esistenza nelle piccole e nelle grandi scelte.
In campo psicomotorio questo si traduce nella necessità (e quindi nell’eticità) del setting visto come l’insieme delle regole che costituiscono il contratto terapeutico. Regole che sono di ordine pratico e  riguardano  gli orari delle sedute, la stanza di terapia… e che si occupano anche delle regole più fini, quelle della mente e del metodo che ogni professionista segue.
Setting lo ritengo un termine squisitamente di frontiera tra la professionalità e l’eticità.
E’ dunque uno strumento che fa da ponte tra quello che stiamo dicendo dell’etica e la psicomotricità intesa come professione retta da un metodo, da regole e quindi da un’etica.
Questo vale per il soggetto, la singola persona, ciascuno di noi che stiamo leggendo(lascio ad ognuno di riflettere e dirsi se ciò che ho scritto è vero, fa parte dei propri vissuti, è qualcosa che si sente come  vero, utile…).
Ma questo vale anche per il gruppo che si struttura in una professione  e qui vorrei soffermarmi per una breve considerazione che vede l’etica come un punto di controllo e di identificazione a livello professionale.
Una qualità indispensabile dunque per una sana professionalità.

Penso sia questa una riflessione collegata a una dimensione che chiamo laica dell’etica, qualcosa che la unisce al metodo, tutti elementi indispensabili per una professionalità che vuole affermarsi come rigorosa e accettata all’interno della comunità scientifica.

Noi sappiamo che pur tra le dispute sul concetto di scientificità,  in cui non vogliamo neppure minimamente entrare, c’è però un accordo largamente diffuso che vede la stessa come una procedura verificabile e quindi trasparente che possa essere pubblicamente discussa, sia in appoggio che in critica. Lo scientifico quindi non è solo la verifica dell’ipotesi ma anche la sua falsificazione.La scientificità deve seguire un metodo.
La scientificità deve avere a che fare con l’obiettività, dove oggi questo termine è preso dall’epistemologia più raffinata, come inerente al punto di vista. L’oggettività non è più vista come la fotografia della realtà, ma l’oggettività è normata dal punto di vista che deve essere esplicitato.[4]

E’ proprio per questo che ogni professionalità deve poter rendere trasparente il suo angolo di osservazione. E’ proprio per questo che la psicomotricità deve sforzarsi di conoscere la sua specificità e di renderla operativa nella propria prassi.
Tutto questo che ho detto ha una dimensione etica anche solo per il semplice fatto che ho usato la parola DEVE.
Si riferisce, infatti, a un’impostazione che crede a una maniera di conoscere non meccanica, ma influenzata dall’operazione della nostra mente che non è neutra nel leggere la realtà. Questo porta a una non assolutizzazione del nostro conoscere e a una maggior umiltà nelle nostre operazioni e nelle nostre aspettative. Ma questo porta  anche a una necessità di dire, di rendere trasparenti i nostri punti di vista attraverso i quali noi conosciamo e operiamo.
Se noi accettiamo tutto questo, facciamo appunto una scelta, ma la scelta fa parte di una specifica dimensione etica: non si sceglie a caso, si sceglie in base a certi valori  condivisi per costituirsi come gruppi professionali che si situino in un dibattito, con delle regole che devono essere rispettate, pena l’ostracismo dal gruppo stesso.
Una professionalità che vuole affermarsi o consolidarsi non può fare a meno di considerare quest’aspetto. Ma quest’aspetto è anche studiato e verificato dall’etica vista come un insieme di norme che sono legittimate e messe in atto per raggiungere determinati valori.
Si potrebbe far osservare come tutto questo, soprattutto collegato a una professionalità, possa essere confuso con la tecnica. Si parla spesso, infatti, di tecnica  terapeutica, di tecnica psicomotoria, vista come un insieme di regole che vanno insegnate e che devono essere rispettate  per essere un buon professionista.
Questa tematica è molto importante e meriterebbe una trattazione particolareggiata. Mi limito, con l’aiuto di un maestro come Gadammer, a sottolineare alcuni elementi che ci servono nel nostro contesto  di riflessione.
Ci sono delle affinità tra tecnica e etica, né l’uno né l’altro sono un sapere astratto, ma implicano un saper pratico organizzato secondo le caratteristiche del compito concreto.
Ma ci sono anche delle differenze perché noi non disponiamo di noi stessi come l’artigiano dispone del proprio materiale .L’oggetto, infatti, della tecnica  è costituito da “cose” mentre l’oggetto dell’etica sono le”scelte “concrete.
Una tecnica si impara e può essere dimenticata, non così per il sapere etico che non si impara e non può essere dimenticato .L’essere uomo si trova da sempre in una situazione in cui deve agire ed è costretto a possedere un sapere etico che deve applicare in situazioni concrete.”Se è vero – continua letteralmente Gadammer – che l’immagine di se stesso formatasi dall’uomo(cioè l’immagine di ciò che egli vuole e deve essere)è costituita da idee direttrici(come il diritto e l’ingiustizia, il coraggio, la solidarietà, ecc) si ammetterà facilmente una differenza fra queste idee e quelle concepite dall’artigiano, allorquando egli si prepara un piano di lavoro. Per confermare tale differenza basta pensare alla maniera in cui abbiamo coscienza di ciò che è “giusto”. Ciò che è “giusto” è totalmente relativo alla situazione etica in cui ci troviamo. Non si può dire in modo generale e astratto quali azioni sono giuste e quali non lo sono: non ci sono azioni giuste “in se”, indipendentemente dalla situazione che le richiede”. [5]
Ancora la tecnica si applica in tutti i casi in maniera quasi identica, l’etica esige quella che Aristotele chiama l’epikeia, cioè la continua attenzione alla situazione che esige sempre un’attenzione particolare, soprattutto quando la situazione implica la presenza dell’altro dando vita a quella che per noi terapeuti è la situazione abituale in cui agiamo. In questo contesto ci vuole il discernimento, chenon è “altro che la virtù di saper giudicare con equità la situazione dell’altro”. Il sapere etico è allora non un sapere tecnico ma un sapere virtuoso.

Non so quanto le mie associazioni sono efficaci a trasmettere quel forte legame tra etica, abitazione, casa, professione.
Io so che conosco una persona soprattutto per le sue scelte, conscie e inconscie, nel dire o non dire una cosa, nel lasciare spazio al fantastico o nel comprimerlo, nel dare vita ai propri sentimenti e alla propria affettività o nel giocare sul registro razionale. Sono tutti elementi importanti che fanno di una persona quella che è; ma quello che una persona  è  costituisce la sua identità, e’ la sua casa, la sua abitazione, quello che la costituisce con quelle radici, quelle fondamenta, quelle finestre e quelle porte.

L’etica traccia i confini, dice le regole, delimita i ruoli. Come la casa ha dei perimetri, delimita un territorio, ripara dalle intemperie, fa sentire più sicuri.
Sempre in associazione all’etica e all’abitare, mi si accende un collegamento con l'”abitudine”, nel senso di abito virtuoso, come la riflessione della filosofia scolastica lo intende e come fa parte di un’acquisizione culturale comune alla riflessione occidentale tributaria di questa filosofia.
L’abitudine virtuosa significa far abitare la virtù nella propria esistenza.[6] Vedere così l’etica mi pare di un’importanza enorme perché la si unisce alla persona, diviene un fatto da cui nessuno può prescindere e viene a valersi di una simpatia molto diversa dalle immagini di muffa  e di rigidità ferrea che solitamente sono attribuite a questa realtà. Seguendo sempre la metafora che diviene così normativa(nel senso che quello che va bene per la casa deve andar bene anche per l’etica)la casa si può anche cambiare o si può ristrutturare: ma non se ne può fare a meno.

La casa si può considerare come casa del soggetto o come casa del gruppo. Infatti, anche l’etica del gruppo ha le stesse caratteristiche, può essere vista come la dimora del gruppo stesso. Ma soprattutto vorrei sottolineare come l’etica, vista in questa prospettiva, ha a che fare con la propria professionalità che è un po’ la nostra casa allargata, il nostro ufficio, per continuare la metafora architettonica.

L’ etica è la base della nostra professionalità

  • Sia perché guida una forma di conoscenza,
  • Sia perche ha a che fare con la nostra azione pratica.

L’etica diventa allora quella che riunisce, che supera le fratture, che crea i legami, che stabilisce trattini di unione tra teoria e prassi, tra mente e corpo, tra pensiero e azione. E’, infatti, la disciplina che si occupa delle scelte concrete, del bene operare, del bene pensare e del bene vivere…….

2.

Vorrei proporre alcune chiavi di lettura del fenomeno etico: per dare degli strumenti che possano servire alle discussioni che seguiranno e anche aiutarci a capire, forse un po’ di più, che cosa intendiamo per etica.
Per fare questo

  • Propongo un metodo che chiamo dialogico, rifiutando la lezione cattedratica e cercando di attivare una partecipazione sincrona del gruppo che leggerà queste note.
  • Devo (altro termine caro all’etica)essere breve: devo cioè cessare di essere l’emittente per lasciar codificare il ricevente che diventa così a sua volta l’emittente. Si attua quello che io chiamo la circolarità comunicativa, valore etico fondamentale in ogni comunicazione che, in altri contesti, ho chiamato la danza dei pensieri.[7]

Questo fa sì che la verifica del mio discorso sull’etica della psicomotricità non sia fatta solo e prevalentemente da me, ma da coloro che si occupano quotidianamente della disciplina. E’ solo operando dal dentro che si riesce ad esseri efficaci e fare un discorso che sia capito e accettato da tutti gli operatori.

3.

Si può parlare di ethos, di etica e di riflessione sull’etica(metaetica)
Vorrei discutere assieme queste categorie per vedere se è possibile condividere il significato, correggerlo, aggiornarlo, modificarlo (ci saranno solo degli assaggi …dato i limiti, il tutto non si consumerà con il mio intervento ma spero si arricchirà di altri contributi). Sottolineo ancora come il mio vuole essere un aiuto metodologico, proporre un modello di analisi che poi deve essere applicato nella realtà.

L’ethos è rappresentato da quello che comunemente si fa sapendo che deve essere fatto in quel modo. Se si partecipa a un congresso si sa che c’è un’iscrizione, che si ascoltano delle relazioni, che a volte c’è un dibattito, che non si può intervenire quando si vuole, che c’ò un ordine da rispettare….Questo rappresenta un costume, che ha una sua automaticità. Risponde a delle impostazioni condivise, a dei valori che sono sottostanti e che un individuo o un gruppo ritiene validi, forse non completamente, ma tali da essere osservati. Si traduce in regole per lo più implicite che governano le azioni. Se il convegno è organizzato da chi crede all’importanza della circolarità comunicativa (etica-insieme di valori condivisi) dovrà tradursi in norme e atteggiamenti concreti che danno spazio al pubblico, non costruendo  interventi fiume da parte dei relatori che saturano cosi il tempo a disposizione.
Se, usando un altro spaccato di realtà, si intraprende una terapia psicomotoria alcune cose vanno da sé; s’iniziano gli incontri coi genitori, si osserva il bambino, si mettono in atto una serie di gesti che obbediscono a delle regole che tuttavia sono date per ovvie, sono quasi automatiche e non esigono scelte difficili e complicate. Una volta che queste regole sono accettate e si dilatano nel tempo, si produce  quello che ho chiamato un ethos che può essere visto come uno stileche informa le azioni.

L’etica è qualcosa di più sofisticato, fa parte solitamente delle riflessioni, si configura in trattati, è enunciata con dei solenni principi. Non si tratta solo dei libri scritti, si tratta anche di tradizioni orali che però contengono una forza argomentativa  e  propositiva, soprattutto alla presenza di culture stabili.
Dal punto di vista della psicomotricità si tratta dei manuali, dei libri, delle scuole e degli autori che hanno codificato un metodo, hanno dettato delle norme, hanno dato vita ad un’etica o ad una serie di etiche, dato il pluralismo esistente anche nelle diverse scuole.

La Metaetica è una sofisticazione dell’approccio etico. Tuttavia rappresenta uno strumento interpretativo e operazionale importante, soprattutto alla presenza di quello che comunemente si chiama il pluralismo culturale.
La metaetica è vedere come si costruisce un’etica, o meglio come, di fatto, è costruita, una volta ammesso che è una produzione umana e quindi fatta da noi.(visione laica dell’etica).
La cultura è sempre supportata da proposte etiche, le norme sono, infatti, sia a la livello manifesto che latente, degli ingredienti indispensabili al buon funzionamento del soggetto e dei gruppi. Per cui se si parla di pluralismo culturale si parla anche d’etiche diverse.
Ma allora è necessario, dopo aver descritto le varie etiche, giudicarle, sceglierle e qui si apre un vasto capitolo che ingloba tutta una riflessione complessa sulle scelte etiche non più viste come atomizzate ma come scelte relative a dei sistemi etici che appunto formano le varie  etiche.
La metaetica controlla anche la coerenza tra una proposta ufficiale, formalizzata e un ethos. Riprendendo l’esempio dei convegni, c’è una proposta(etica) che dichiara il necessario intervento del pubblico e c’è un ethos che sa che questo non è possibile e si rassegna solo ad ascoltare e non a intervenire.
Questi tre nomi costituiscono un po’ degli utensili per cominciare a discutere, con competenza, di un problema etico. Non risolvono tutti i problemi, sono solo degli strumenti per leggere, con un minimo di modelli, e quindi scientificamente, un fenomeno.

4.

Sempre nell’approfondimento metodologico, indicando altri strumenti si può parlare

  • Di VALORI,
  • Di NORME,
  • Di CRITERI di LEGITTIMAZIONE,
  • Di REALTA STRUTTURALE

e dell’influsso reciproco di questi quattro elementi: la relazione tra i quali costituisce una delle caratteristiche di quest’analisi.
Esemplificando: in una terapia psicomotoria io posso chiedermi quali sono i valori che si perseguono: una rieducazione d i un segmento della persona, oppure una dimensione più complessiva, un valore legato prevalentemente alla coordinazione segmentaria piuttosto che ad una visione olistica della persona, un valore legato al soma o uno più attento al bio-psico-sociale. A secondo del valore di riferimento si producono norme coerenti che si traducono in orientamenti  di tecnica terapeutica. Ma questo ha bisogno di un apparato di legittimazione che varia se scelgo un valore o un altro.
Si arriva a una realtà strutturale fatta di gesti, pensieri, setting, orientamenti materiali usati che si muovano coerentemente alle impostazioni di valori che si sono scelti.
Questa analisi, che nel caso ho fatto partire dai valori, può essere messa in atto anche partendo dalle norme, dalla legittimazione o dalla realtà.
Quello che importa e che tutti i segmenti siano presi in considerazione e fatti giocare in circolarità.
Se io penso che sia importante impostare un setting rigoroso, lo devo tradurre in regole che però devono obbedire a dei valori condivisi. Se penso che la stanza di terapia deve essere ampia è perché do una certa importanza allo spazio, se penso che deve essere piccola, do ancora importanza allo spazio, ma sottolineo la significatività di una dimensione contenuta  ai fini di una terapia che ha bisogno di questo elemento. Ne segue l’importanza della legittimazione delle regole che tuttavia devono sempre essere rapportate a dei valori e non possono mai diventare degli assoluti: questa è una metaregola che guida il giudizio etico.L’applicazione di questa regola strutturale e la necessità di vagliare sempre i quattro elementi fanno sì che si abbia una visione dell’etica non come disciplina segmentaria ma come una griglia che cerca di leggere la realtà nel suo complesso.

5.

Si possono usare queste parole per leggere la realtà dal punto di vista etico e vedere come questa riflessione angolata contribuisce a interpretare la vita in maniera più aderente ai vissuti, a volte ignorati o non sufficientemente considerati.
Si può  cercare di utilizzare questi strumenti per vedere come applicarli alla professionalità dello psicomotricista per interrogarsi se questo settore della riflessione e della prassi incidono sulle scelte operative e teoriche dei vari professionisti.

Io credo a un’etica improntata alla circolarità comunicativa, che quindi si traduce in un ethos conseguente e che corrisponda a una metaetica rispettosa dei soggetti in campo.
Credo nella metanorma relazionale che vede prioritaria la relazione  e-e  piuttosto che il
binomio  o-o.
Credo in un’etica che  guida e verifica i vari comportamenti anche terapeutici e le modellistiche operative che danno vita a una professionalità ben funzionante.
Non so, mentre scrivo queste note, se l’operazione riuscirà, dipenderà da vari fattori, alcuni legati a me, altri a chi mi leggeranno, altri alle condizioni ambientali….All’atmosfera che si creerà in che leggerà queste riflessioni. L’atmosfera viene da me considerata come un elemento importantissimo nella comunicazione e nell’interpretazione perché costituisce  un po’la culla calda in cui poter elaborare o addirittura far nascere i pensieri. Sono consapevole che un’atmosfera è più facile sentirla in un discorso verbale, fatto faccia a faccia, dove si possono esperimentare molti codici emozionali che vanno di là dallo scritto. Il mio intento, forse troppo pretenzioso, è di riuscire, anche attraverso un testo, a comunicare o a stimolare quest’atmosfera che –ripeto- ritengo
indispensabile in un processo di interpretazione corretto e vitale.
E’ soprattutto quest’atmosfera che io cerco di favorire,  perché ritengo sia la qualità più importante per poter consumare assieme un tempo creativo(quello necessario alla lettura di un articolo) e piacevole anche se a volte forse faticoso.

Bibliografia

1.   NATOLI S., La felicità di questa vita, esperienza  del mondo e stagioni dell’esistenza,  Mondadori, Milano 2000.
2.   PALO G., L’abitare, una esperienza dell’uomo, in Servitium,Bergamo 1993 n. 88
3.   FREUD S., La scomposizione della personalità psichica, in Opere vol. 11, pag170 Boringhieri, Torino 1980.
4.   AGAZZI E., Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e della oggettività nelle scienze umane, in Epistemologia e scienze umane, Massimo, Milano 1979.
5.   GADAMER H.G., Il problema della coscienza storica, Guida Editori, Napoli 1969
6.   ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Bur, Milano, 1986,  vol. II, pagg. 587-591
7.  PALO G., L’arte del pensare il pensiero come arte, Centro Terapeutico della Comunicazione,Como 1995

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