Panico Quotidiano

Introduzione a cura di Gianangelo Palo

 

Panico quotidiano entra nella collana ‘Arcobaleno’. Collana che vuole essere uno strumento per coloro che si occupano delle professioni di cura. ‘Arcobaleno’ richiama l’insieme di vari colori che trovano un’unificazione nell’immagine spruzzata su un cielo dopo una tempesta. Vari colori, unificazione, tempesta nel cielo sono tre nomi carichi di valenze emotive e interpretative che rimandano a un’operazione di simbolizzazione estremamente rilevante nella costituzione del soggetto psichico e nella sua dimensione sociale. Abbiamo cercato di fare questa riflessione nel primo volume della collana, L’arte del pensare, dove venivano raggruppati vari interventi mirati a sviluppare una riflessione sull’arte del pensare, in una prospettiva psicoanalitica dove, la dimensione estetica e la riflessione sul pensiero, andavano assieme a un’attenzione all’attitudine poetica ed artistica, componente fondamentale dello psicoterapeuta. (Palo G., 2007). Oggi presentiamo questo volume che si occupa della professione di cura, è scritto da uno psichiatra, da uno psicoterapeuta con specializzazione farmacologica e dal sottoscritto che si presenta come un raccoglitore di pensieri e di emozioni nel disegno di un arcobaleno, frutto di un insieme di colori, dipinti sulla tavolozza della realtà umana, considerata nella sua dimensione Bio-Psico-Sociale.

La lezione dell’interdisciplinarità nel passaggio alla transdisciplinarità

Mentre si accoglieva la riflessione sulla complessità della realtà non più parcellizzabile nelle varie specializzazioni, utili nella loro capacità di andare a fondo nella rigorosa descrizione della propria disciplina, ma insufficienti nei confronti di una dimensione necessariamente più globale, nasce il termine della transdisciplinarità come tentativo di non fermarsi alle parcellizzazioni eccessive, unire quello che è possibile unire, scoprire un trattino che mette assieme le riflessioni e le conclusioni delle varie specializzazioni, per trovare un momento di sintesi, una collaborazione che ricupera le individualità, senza perdere le specificità (Palo G., 2005). Questa descrizione molto sintetica rimanda a una serie di contributi che nel frattempo sono sorti e che costituiscono un po’ le linee guide per coloro che vogliono affrontare la realtà sotto questa prospettiva. Ancora una volta si tratta di una scelta etica che, avendo bisogno di una legittimazione teorica, cerca poi di leggere la realtà e di costruirla in questa prospettiva. Per rendere operativa questa impostazione abbiamo scelto il modello biopsico-sociale che ci è sembrato tradurre in concreto quello che la transdisciplinarietà impone. Ecco allora una manifestazione oggi molto presente, l’attacco di panico,

  • nella sua prospettiva biologica che rimanda successivamente a un possibile e a volte auspicabile utilizzo di farmaci,
  • nella dimensione psichica con una serie di riflessioni sulla importanza della realtà intrapsichica, seguendo una prospettiva con accenti lacaniani e in ogni caso con sensibilità analitica,
  • nella componente sociale come tessuto in cui lo psichico e il biologico prendono forme e si modellano.

Mi pare particolarmente interessante questa metodologia che scardina gli assoluti interpretativi per accentuare una riflessione che appartiene a una branchia della sociologia a me molto cara, la sociologia della conoscenza, che tenta di far vedere come tutto è avvolto nel reticolo sociale, anche le nostre prospettive più profonde, anche le dimensioni più biologiche, anche le nostre paure più umane (Palo G., 1977). Questo modello interpretativo, che evidentemente non è assoluto, è molto presente in questo libro e mi pare costituisca un po’ la sua peculiarità, nel tentativo di mettere assieme i vari punti di vista, in una sintesi che vede emergere il sociale e il culturale, come aria indispensabile al respiro della vita psichica e introduce una serie di cambiamenti, che il testo cerca di evidenziare in una prospettiva di annuncio più che di imposizione autoritaria. Si giunge quindi a un altro elemento che trovo molto importante come strumento di transdisciplinarietà: la narrazione.

La narrazione

Il narrare è un contributo importante nella modificazione avvenuta anche dal punto di vista epistemologico. Mentre i nostri trattati erano molto meccanici e si richiamavano a un rigore che non permetteva la narrazione e la dimensione estetica e letteraria erano confinate in un dominio attribuito all’extra-scientifico, oggi si è appreso a inserirla di diritto anche nelle riflessioni dei professionisti che si occupano di cura. Si giunge così a un’impostazione che necessita una nuova luce interpretativa, per sfociare in un nuovo modo di operare, o forse un nuovo modo di operare che spinge a una nuova riflessione. Ancora una volta si tratta di mettere assieme le cose, di legarle con un ponte che non assolutizza le rive ma li congiunge. Ma, anche in questa nuova prospettiva, il testo vuole sottolineare l’importanza di una dimensione culturale che avvolge e condiziona tutte le nostre scelte. La cultura assume quindi una valenza particolare, assurgendo a contenitore di tutto un cammino e una prospettiva che interessano le nostre scelte.

Una svolta etica

Siamo a una nuova maniera di vedere l’etica che chiaramente presiede alla riflessione sul decidere e sull’impostazione che regola la descrizione e l’approfondimento delle tematiche che il libro vuole prendere in considerazione. Non sembri strana questa sottolineatura dell’importanza etica, la riteniamo fondamentale in un periodo come il nostro, di crisi di valori, non solo ascrivibili ai comportamenti ma anche sottostante alle impostazioni epistemologiche che guidino poi le varie riflessioni proprie delle varie discipline. La bioetica, sorta come branchia della più grande disciplina morale, si è presentata sul mercato culturale con la metodologia classica della riflessione etica, codificata nel tempo e soprattutto tributaria di un’impostazione derivata dai manuali cattolici. Infatti, la prima formulazione, se usiamo una riflessione metaetica che cerca di analizzare come si costruisce e su cosa si fonda un’etica, era improntata alla classica proposta dei principi da cui si doveva dedurre un giudizio sui fatti. Si partiva, o si parte ancora, in quanto questa etica è ancora ampiamente proposta, da un sillogismo, la premessa maggiore, a cui segue la minor e la conclusione. Il suicidio è male, ma l’eutanasia è un suicidio e quindi è male. Si tratta di un’impostazione more geometrico in cui la premessa di fondo è una divisione dualistica di stampo cartesiano e in cui l’etica viene gestita soprattutto sul piano della pura razionalità sillogistica. Si tratta di evidenziare o, anche peggio, assolutizzare il logos. Ma l’uomo non è solo logos è anche mito, pathos. Non c’è solo la ragione c’è anche il sentimento, l’emozione (Palo G., 1977). Ecco allora la necessità di unire le cose perché la dimensione etica non può essere segmentata e parcellizzata, così come anche l’uomo non può essere visto e trattato in questo modo. Nasce allora un’etica e una bioetica che, proprio perché riguarda l’uomo ed è creata dall’uomo, deve tener presente la complessità della realtà umana senza assolutizzazioni e con la consapevolezza che siamo creature ferite e non perfette, come invece una certa razionalità farebbe presupporre.

Tutto questo porta a una maggiore umiltà anche per quanto riguarda i grandi discorsi etici che devono passare al setaccio della nostra precarietà e della consapevolezza che, se la nostra ragione non riesce a essere perfetta e quindi produrre risultati assoluti, anche le nostre etiche devono essere attente al limite, come caratteristica intrinseca alla stessa dimensione etica. È per questo che uno strumento privilegiato dell’etica non diventa più il sillogismo o la pura razionalità, ma si fa strada il narrare. I casi clinici non possono che essere narrati e la riflessione medica ha qui una storia importante per le sue osservazioni che su questo versante sono state fatte. Ma anche la morale ha usato il narrare, raccontare i casi discutere sui casi, lo si è sempre fatto. Solo che ora è cambiato il contenitore, la narrazione non è più un solo involucro da sottoporre ai vagli sillogistici, la narrazione diventa un elemento importante, quanto e più del sillogismo, perché riesce a veicolare l’affettività, l’emozione. Inoltre si dà più spazio ai vari attori che diventano soggetti morali da prendere in considerazione perché portatori a vario titolo di eticità, da rispettare e da inserire nella tavolozza globale della realtà.

Il tutto mi pare molto bene illustrato dalle riflessioni che seguono, organizzate in modo tale da dare risalto alle prospettive metodologiche che ho cercato di delineare. Il lavoro mi pare significativo di un modo di procedere un po’ diverso dalle solite trattazioni medico-psicologiche. Mi sembra soprattutto peculiare il tentativo i proporre una serie di letture che possono essere decodificate da qualsiasi lettore che obbedisca a varie scuole di pensiero. La non rigidità dell’impostazione permette una lettura plurale, non negando a nessuno il diritto di intervenire con le proprie impostazioni. Anche questa mi pare una proposta etica che lascia spazio e non chiude i codici; la riprenderemo in conclusione quando cercherò di evidenziare maggiormente la ricchezza e la peculiarità di queste riflessioni.

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