Il ruolo della bioetica nella riflessione e nella prassi medica

1. Etica: linguaggio e metodo

Non farò una trattazione sistematica, scelgo un altro metodo, più innovativo e più scapigliato. La mia scelta non avviene a caso, come si vedrà, fa già parte dì un mio modo di pensare, che non voglio presentare come assoluto, ma come una angolatura attraverso cui vedere questo mondo complesso del pensare e dell’agire umano, non per niente riducibile ad un unico principio o a una sola lettura.*

Inizio quindi con una introduzione “scapigliata” in cui esaminerò che cosa evocano per me quattro nomi: Enciclopedia, Carta geografica, Epistemologia, Bioetica; passerò ad enunciare due tesi, o due punti di vista sull’etica, concluderò con una serie di sollecitazioni che mi sembrano significative per il nostro tema.(1)

Questi quattro “nomi” non sono scelti a caso e devono essere legati tra di loro ai fini della costruzione di una rete metodologica. Etica e metodologia sono due termini legati da parentela. Metodologia infatti deriva da “strada”, “percorso”: indicare e seguire una strada significa entrare nel regno delle norme, delle direttive, delle frecce indicative. Annunciare una metodologia significa sempre proporre una rete di modelli ed è sempre una operazione etica.

a. Enciclopedia

Dal punto di vista etimologico enciclopedia significa “messa in circolo del sapere”. Dal punto di vista culturale enciclopedia normalmente significa “tanti saperi”. Accettare un significato od un altro è una scelta che ha a che fare con il normativo e con il metodo. Privilegiare la accezione etimo/dinamica significa mettersi in una prospettiva in cui l’uso e la distribuzione del sapere obbediscono a una legge di circolarità e non a posizioni monodirezionali e gerarchiche.(2)

b. Carta geografica

E’ una metafora per dire che il linguaggio non riesce mai a descrivere tutta la realtà. C’è una distinzione tra quello che si vuole dire e gli strumenti impiegati per dirlo. L’approccio alla realtà è un approccio metaforico proprio perché io non posso che parlare di una cosa e parlare significa usare “carte geografiche”.(3)

c. Epistemologia

La epistemologia è la riflessione intorno ai principi e ai metodi della conoscenza scientifica. “Episteme” nella filosofia platonica è il sapere, certo in contrapposizione all’opinione (doxa) individuale. La mia riflessione punta a far rilevare come la radice di episteme è pistis che significa credere. Nel cuore stesso delle procedure conoscitive scientifiche si annida il mito, proprio dove il mito vorrebbe essere vanificato.(4)

d. Bioetica

E’ un termine recente di derivazione anglosassone, accolto nelle altre aree linguistiche.(5) L’etimologia greca del termine rimanda a due realtà di grande portata BIOS(VITA) e ETHOS(ETICA). Obiettivo della bioetica è la relazione tra queste due realtà. Avendo appositamente impiegato il termine “relazione”, si capisce che dipende da COME si relazionano i due nomi e le due sottostanti realtà. Insisterò più a lungo sul termine etica perché lo ritengo fondamentale per capire la impostazione che darò al problema. Dal modo di recepire il termine si evince infatti tutto il modo di leggere il problema. Userò l’approccio etimologico per addentrarmi in questo vasto mondo, cercando di analizzare e sintetizzare i vari elementi che, lungo il percorso della riflessione, si presenteranno nella loro forza argomentativi.

Etica deriva da ETHOS che significa costume, che rimanda ai significati che riguardano la convivenza, la coabitazione. Questo vale in pieno per il termine tedesco “sitte” che si rifà alla radice endogermanica “suèdh” ed etimologicamente significa DOMICILIO, è collegato con lo “svadha” altoindico che rimanda a PROPRIETÀ, ABITUDINE, COSTUME o alla derivazione latina “sodalis”(camerata-camera), ”suesco” e “consuetudo” (abitudine, tradizione, costume, uso).(6) Il contenuto del termine costume implica tutto ciò che rende possibile la convivenza umana, che mette in rilievo una situazione ordinata, regolata, familiare, abituale, che dà sostegno, che è controllabile, ovvia, universalmente praticata e da cui si è responsabili comunitariamente. Da qui l’impiego dell’altro termine “morale” che evoca significati affini al costume alla casa, abituale.

Mi sembra interessante far notare che sulla ricerca di una delimitazione semantica, ho fatto ricorso alla etimologia che è la scienza dei reali significati delle parole, che si collega a “ethimos” che è una parola parente di “ethos”. Le parole infatti non sono tanto prodotti di regole tecniche-linguistiche ma segnano lo spessore della consuetudine, della storia e, diremo in seguito, del “mito”.(7) In questa prospettiva si vede come il fenomeno etico è complesso e non così facilmente riducibile al mondo delle norme, o peggio al moralismo frutto di una proposta autoritaristica dall’esterno.

Per cercare di mettere ordine a questa che, prima di essere un’esperienza razionale, è un fatto vissuto, propongo di analizzare il fenomeno etico in tre momenti.

1) L‘ethos è la parte più esistenziale del fenomeno. Ascrivibile al mondo della consuetudine, dell’ovvio. E quello che si traduce con il senso etimologico = ciò che è di casa.

Per usare un termine molto preciso che però va spiegato, è il mondo del mito. Mito non in senso dispregiativo razionalistico, ma mito come spessore forte della storia individuale e collettiva (8). Modo di vedere ma soprattutto sentire le cose. Partecipazione affettiva alle zone più profonde dell’esistenza. Il mito, in questo senso, ha un linguaggio particolare, il simbolo, che ha delle caratteristiche specifiche di informazione, di emotività, di relazionalità. Si apre qui un capitolo vastissimo che interessa non solo la riflessione etica ma che esplora orizzonti filosofici profondi e rimanda indietro alle grosse esperienze della verità, del senso della credenza, della decifrazione del significato più profondo della esperienza umana.

Qui mi interessa far vedere come il fenomeno etico, in quanto ethos, fa parte di questo mondo che non è tanto razionale, che risiede nelle pieghe più profonde della esperienza individuale e collettiva. In questa prospettiva le “norme” sono ovvie, vanno da sé, non hanno bisogno di tanti supporti i perché fanno parte del proprio mito personale o della cultura in cui si vive.

E il mondo più “umano” dell’etica, quello che ci è di casa, che viviamo in prima persona, forse senza neppure saperlo. Ma è un mondo potente perché guida quasi sempre le nostre scelte quotidiane. E’ un mondo parente dell’inconscio, sia a livello individuale che collettivo, e merita di essere esaminato con alcuni strumenti propri dell’analisi psicoanalitica.

2) L’etica: esiste un altro momento più tipicamente razionale. Quello che abitualmente chiamiamo etica e che però impropriamente riduciamo al solo elemento della ragione chiara e distinta. E il mondo dei sistemi etici, delle normative esterne, all’insegna del rigore e della chiarezza. E il mondo delle norme che ogni gruppo culturale si dà in maniera esplicita per far sì che il gruppo abbia un minimo di coesione e di organizzazione che gli permetta di essere riconosciuto nella propria identità.

Dicevamo essere questo il mondo della razionalità. In accordo con il linguaggio precedente diciamo che questo è soprattutto il territorio del “logos”. Il logos che mette ordine ma che può uccidere, proprio mentre si intronizza incontestato nel mondo delle persone e della cultura, pretendendo di dettare le leggi in maniera stabile ed incontrovertibile. (9)

Questa area è quella che abitualmente si intende per etica. Ed è proprio questa riduzione semantica che, a mio avviso, ha determinato tutta una serie di malintesi e di ostracismi verso questa che non è solo una disciplina teorica, con statuti di scientificità, ma che è soprattutto una esperienza di tutti.

L’aver limitato il fenomeno all’etica razionale e dei sistemi più o meno avallati dal mondo di una pseudoscientificità, ha fatto sì che il fenomeno fosse espropriato ai più e relegato nelle mani di coloro che detengono la conoscenza delle leve del sistema e che quindi possono sentirsi non solo oggetti ma soggetti del fenomeno stesso.

3) La metaetica: è l’esperienza mediante la quale ci rendiamo conto che un’etica è sistematizzata, rinchiusa in formule razionalizzate, proposta/imposta in maniera normativa da un gruppo che ha interesse a farlo.

In poche parole metaetica è rendersi conto della non adeguazione tra ethos e etica. In maniera più complicata è capire che ogni etica è un prodotto storico, fatto da alcuni soggetti che, con una serie di interessi, hanno ritenuto opportuno codificare delle norme in risposta a dei bisogni che necessiteranno un certo soddisfacimento, attraverso una serie di strumenti positivi e/o impositivi, a livelli manifesti o latenti, in modo da far sì che una certa organizzazione della società, o una struttura psichica delle persone, prendessero il sopravvento in un determinato momento storico.

L’operazione metaetica è in fondo l’appropriarsi per quanto è possibile del fenomeno, sottolineando la provvisorietà di qualsiasi prodotto etico, visto come incapace di tradurre in maniera adeguata tutti i conflitti che una comunità umana detiene e alimenta.

Queste premesse semantiche ritengo erano indispensabili per dichiarare i miei interessi e soprattutto per far capire il significato che do al termine etica che, se preso globalmente, può voler dire la complessità del fenomeno morale ma, se viene analizzato con un certo rigore, va sottoposto alla tripartizione precedentemente descritta. A mio modo di vedere – e sono da questo punto di vista esplicitamente normativo – una corretta impostazione esige la visione globale dei tre momenti e il tentativo di sintesi attraverso una operazione metaetica. In questa prospettiva ritengo tuttavia che il fenomeno etico non diventa appannaggio degli studiosi del problema ma viene calcolato nelle viscere di ciascuno che, attraverso il proprio mito personale e collettivo, riesce a cogliere lo spessore esistenziale di questa porzione umana della realtà.

Un modo diverso di vedere le cose, meno normativo e più accademico, potrebbe essere sviluppato così:

Propongo un orientamento pluralistico che vede il passaggio dalle specializzazioni segmentate a una dimensione di relazione tra le varie discipline (enciclopedia). E il passaggio dal monologo al dialogo, dal monismo al pluralismo, della interdisciplinarietà alla transdisciplinarietà.

Tutto questo è possibile se si sottolineano le relatività del linguaggio e l’impossibilità di codificare in maniera univoca la realtà (carta geografica). Se non si fa la riduzione tra essere e pensiero. Si assume invece una dimensione epistemologico- operativa, tipica della scuola di Ginevra. Il” logos” non è isolato, vive accanto al mito. I valori sono dentro la realtà e la conoscenza. L’etica è un’etica non assoluta, le teorie etiche locali rappresentano una necessità dell’individuo e del gruppo. L’approccio all’etica è di tipo metodologico in cui l’interesse è soprattutto la lettura del rapporto esistente tra l’ethos e le norme etiche attraverso uno strumento metaetico.

2. Considerazioni metaetiche

La precedente introduzione è già un quadro dotato di sufficienti elementi per situare quello che vogliamo comunicare, che è essenzialmente circolante attorno a queste intuizioni:

2.1. La nostra maniera di conoscere è legata all’etica.

Esiste cioè un’etica della conoscenza, nel senso che noi conosciamo attraverso dei modelli che scegliamo in maniera più o meno consapevole.

2.2. L’etica come disciplina sistematica, classica, non ha più presa sul reale. Si fa finta che l’etica non ci sia più. Invece l’etica, nella sua triplice complessità precedentemente descritta, esiste e guida molti nostri comportamenti.

In questa prospettiva assumo l’etica come un fatto e questo lavoro come una lettura del fatto etico.

2.1.1. Etica e conoscenza.

Parlare del coma, dell’eutanasia, della riabilitazione significa scegliere una strategia conoscitiva. La scelta di questa strategia determina lo svolgimento della trattazione, la quale si troverà a dire certe cose e non altre, a privilegiare alcuni elementi a scapito di altri. Questo quadro di scelte costituisce la mia etica ed è presente in qualsiasi relazione che ci capita di sentire. Il più delle volte è nascosta; uno dei metodi da me scelti perché ci sia una descrizione etica consiste nell’esplicitarla, nel renderla trasparente. Ho cercato di fare questo con la “strana” introduzione, mi pare sia importante proseguire

2.1.2. Ritengo che l’etica sia prevalentemente una realtà comunicativa, perché ritengo che l’uomo sia fondamentalmente una realtà in comunicazione per cui, il mio modo di pensare (ho usato la parola “ritengo” — “credo”!) condiziona quello che dirò e in parte quello che farò, per lo meno quello che sto dicendo.

2.1.3. In questo senso l’etica (qui mi riferisco prevalentemente alla seconda accezione di etica) è un prodotto fatto da qualcuno, diretto a qualcun altro, con una serie di interessi e di effetti. È un modello comunicativo. (10)

2.14. Ma l’etica risponde anche alla concatenizzazione di questi quattro elementi: norma – valori – criteri di legittimazione e realtà. (11)

2.2. Etica e scienza, la crisi dell’etica classica.

2.2.1 – E con queste premesse che enuncio una lettura della attuale situazione etica in relazione al la realtà “scientifica”.

Il mondo della sperimentazione scientifica non segue l’etica classica, anzi l’etica è una cosa irrilevante per la forte accelerazione della ricerca e per i criteri che la guidano che non sono più quelli di carattere etico tradizionale. In questa prospettiva si può dire che l’etica non tiene più.

2.2.2. Perché è costruita con una visione del sapere ancora legata a un concetto di razionalità classico, a un sistema di valori unificanti e unificati che rappresentava “la legittimazione di una norma che si produce alla spalle degli uomini, di un sistema etico-sociale assoluto, di tipo euclideo, che trascende le circostanze specifiche della vita degli individui”. (12)

2.2.3. Perché non c’è più un corpo sociale omogeneo pronto a recepire la riflessione dei sapienti per lo più legati al principe o alla corte.

2.3.4. Perché il sapere si è frammentato e la rete dei modelli è fondata sui nuovi principi quali il locale, il relativo, il soggettivo, il frammento, il labirinto.

Ma sempre in questa prospettiva si può dire che le varie impostazioni presenti nei punti A – B sono tutte suscettibili di analisi etica. E’ allora una determinata etica che non tiene più. Ma come si fa a dire che una prassi scientifica che non tiene conto dei valori etici tradizionali, perché è più disponibile a una ricerca all’insegna della rapidità, non sia permeata da un’etica, quella proprio della prassi, della rapidità, della velocità?

Ma c’è di più.

L’etica classica non regge più perché ha tempi di sviluppo troppo lenti. Lo possiamo vedere anche applicato al nostro argomento. L’etica arriva dopo, è sempre in ritardo con una concettualizzazione subito superata da una nuova scoperta. E’ proprio per questo che proponiamo di pensare all’etica in maniera diversa.

3. L ‘etica della crisi

3.1. Non più etica universale, ma teorie etiche locali.

3.2. Non più etiche nascoste ma consapevolezza che persino il nostro modo di pensare, oltre che la nostra prassi, è pieno di valori, di scelte, di priorità decisionali, è etico.

Potrei chiudere questo punto e lasciare a ognuno, a ogni gruppo, la possibilità di scoprire l’elemento etico all’interno di ogni loro discorso e ogni loro agire. Si troverebbe allora in concreto, nel vissuto esistenziale individuale e di gruppo, che ogni scelta terapeutica si fonda su un ethos, una prassi abituale, è collegata a un’etica e noi possiamo verificare questo collegamento attraverso gli stimoli offerti dalla metaetica.

4Bioetica e coma

4.1 Se esemplifichiamo attraverso una problematica, possiamo parlare del coma

Se vale quanto ho fatto precedentemente osservare non è necessario solo precisare la propria maniera di vedere l’etica, ma bisogna anche rendersi conto del come l’etica che abbiamo scelto influenza ed è influenzata dalla accezione che diamo di “coma”. Questo fa parte del mondo della riflessione, dell’epistemico, ma è importante sottolineare come qualsiasi discussione sul “coma” non è neutra e l’assunzione di un significato o di un altro non è indifferente a tutto il procedere conoscitivo. (13)

Nasce qui la necessità della circolarità del sapere, della interdisciplinarietà che tuttavia, a un certo momento, può e deve diventare transdisciplinarietà. Cioè allorché ho esaminato – e non posso non farlo pena la mia scientificità- le diverse accezioni di coma, non posso che sceglierne una o un gruppo di accezioni per lavorarci sopra. I criteri di scelta non obbediscono solo a regole logiche, ma a parametri più complessi. Una serie di queste regole sono anche “etiche” come ho cercato di dimostrare nell’introduzione.

4.2. Ma l’etica non entra solo nella riflessione, nell’epistemologia della conoscenza medica, entra anche nella prassi. Faccio un esempio per tutti: Il modo di costruire un reparto di cure intense non obbedisce solo a criteri estetici, tecnici, economici, ma anche ad un modo di vedere la realtà, l’uomo. la malattia, il malato, la relazione medico-paziente, il coma. Così la circolarità del sapere, la epistemologia, gli ethos, le etiche influenzano non solo il pensare ma anche l’agire, addirittura l’agire architettonico.

5. Conclusioni….aperte

Il mio intento era soprattutto quello di presentare una metodologia di lettura del fatto etico vista non come una realtà confessionale già predeterminata, ma come una componente in eludibile di qualsiasi fatto umano. (13)

Non esiste, dal mio punto di vista, una scelta priva di morale perché in ogni caso si obbedisce a una visione delle cose e a un’etica che, se non è codificata, è presente ugualmente nel soggetto o nel gruppo. Seguendo questo approccio la bioetica non è tanto l’applicazione di regole per raggiungere il bene, ma è la vigilanza costante per scoprire le varie etiche e per rendersi conto da quali etiche siamo pilotati o tributari o condizionati o sostenitori. Questo è un primo approccio. Non è detto che il discorso finisca qui. Si possono mettere a confronto le varie posizioni e ricavare qualcosa di più consensualmente corposo. In ogni caso questa ultima operazione obbedisce a un’etica che è meglio esplicitare. Il rendersi conto del rapporto esistente tra il nostro ethos, la nostra etica, costruisce l’operazione metaetica e permette la messa a giorno di tante difficoltà e di tante incongruenze che a volte bloccano una realtà di riflessione e di prassi.

Il ruolo della bioetica è allora quello di far vigilare e far rendere conto del come ogni fenomeno sia un fenomeno umano, percepito e letto dall’uomo.

Ogni fenomeno umano, in quanto umano, è anche fatto di un insieme di scelte, consce e inconsce, che obbediscono a delle leggi che abbiamo un po’ imparato a scoprire. La bioetica allora ha come compito quello di mantenere “vive” le posizioni dei ricercatori, degli operatori, degli “ammalati” e del mondo medico perché non ci si adagi su scelte sclerotizzanti e valevoli per sempre ma ci si interroghi costantemente sul perché delle scelte, sulle modalità delle procedure. Questo non solo a livello pratico ma anche di pensiero. Perché il pensiero e l’azione sono una componente unica dell’uomo e, pur nella loro specificità, sono legate tra di loro e determinano assieme la realtà.

* La mia etica è quella che sostiene:-siccome il linguaggio è relativo e non dice tutta la realtà, non bisogna assolutizzarla, anche quando si parla di etica;-siccome il sapere non è patrimonio statistico e assoluto, deve essere fatto girare, deve essere messo in circolo;-siccome l’epistemologia è importante, e deve sempre essere tenuta presente, ma non è fatta solo di logiche razionali, ha all’interno anche dei “credo”, è importante mettere assieme il logos e il mito;-siccome l’etica non è solo quella dei trattati, bisogna analizzare il fenomeno nella sua complessità (ethos e metaetica).

Tutti questi ”bisogna”, “si deve”, “è importante”, fanno parte di ogni metodologia e costituiscono una dimensione etica.

Bibliografia:

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  8. Per una trattazione più sistematica cfr. G. Palo, Etica e psicanalisi, Friburgo 1986, Id, Le resistenze alla contraccezione, Milano 1985.
  9. Per il modo caratteristico di recepire la dinamica tra mito e logos rimando a Pannikar R., Tolerance, ldéologec et Mithe, in “Demitizzazione e ideologia”, Roma 1973, p. 191 e seg.
  10. Palo G.: Sociologia della conoscenza e morale, in Rivista di Teologia morale 1978, Bologna.
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  15. Barber B., Lally J.J…..: Research on Human Subjects: Problems of Social Control in Medical Experimentation, New York, Russel Sage Foundation, 1973.
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