Riflessioni sul metodo scientifico

Per una sensibilizzazione metodologica ed etica

Il collegamento tra metodologia ed etica è una caratteristica della mia impostazione che vorrei fortemente sottolineare.

Ritengo la metodologia una caratteristica laica dell’etica. Scegliere o impostare un metodo significa avere come sottostanti dei valori più o meno esplicitati che guidano il cammino. A volte il cammino è fatto a caso, ma il caso stesso diventa una componente metodologica che rende la ricerca non rigida e incapsulata in forme ideologiche fisse. Pur accettando la creatività e il caso come componenti ci deve pur essere una riflessione sul metodo che diventa il contenitore del lavoro di ricerca, non per sclerotizzare il tutto ma per renderlo trasparente e riproducibile.

Noi sappiamo che qualsiasi operazione di ricerca presuppone:

  • una conoscenza,
  • un piano di ricerca
  • una attuazione della stessa.

Non voglio entrare nei complessi elementi procedurali tipici della formazione e della attuazione di una ricerca scientifica sperimentale, limito la mia osservazione al pur sempre complesso fenomeno della conoscenza, facendolo rientrare in quello che oggi comunemente si delinea come il problema epistemologico. Faccio alcune premesse che ritengo normative per lo sviluppo dell’osservazione che farò.

Qualsiasi conoscenza avviene in una realtà che chiamo “’campo”, composto da:

  • la realtà sociale.
  • la realtà individuale
  • il modo di legittimare il sistema conosciuto.

 

1.

Il modo che si aveva alla fine dell’Ottocento di guardare al fenomeno conoscitivo, collegato alla filosofia positivistica, determinava una concezione della scienza orientata ad un modello meccanico: il mondo della fisica con le sue analisi quantitative inseribili in modelli matematici dava al contesto conoscitivo scientifico un rigore legato alla misurabilità delle quantità. “In materia di principi -scrive Einstein – predominava una rigidezza dogmatica: in origine (se origine vi fu) Dio creò le leggi del moto di Newton insieme con le masse e le forze necessarie. Questo è tutto; ogni altra cosa risulta deduttivamente attraverso lo sviluppo dei modelli matematici appropriati. Ciò che il secolo XIX riuscì a fare basandosi solo su questo    non poteva non suscitare l’ammirazione di ogni persona intelligente. Però. ciò che faceva più impressione non era tanto la costruzione della meccanica come scienza in sé, o la soluzione di problemi complicati. quanto le conquiste della meccanica in campi che apparentemente non avevano nulla a che fare con essa. Questi risultati confermavano che la meccanica costituiva la base della fisica. Non dobbiamo quindi stupirei se tutti, o quasi tutti, i fisici del secolo scorso videro nella meccanica classica la base sicura e definitiva di tutta la fisica, e anzi, addirittura di tutte le scienze naturali” (Einstein – 1949, pp. -12, Note autobiografiche).

2.

Il superamento di questo modello, anche in campo prettamente fisico, con la introduzione della relatività e delle sue implicazioni rompeva la solidità di un’impostazione a cui era sottesa una concezione del mondo più semplice per spostarsi verso, una “visione”, della realtà più complessa. Questo, sinteticamente, mette sul tappeto il discorso del rapporto tra quantità e qualità, oggettività-soggettività, rapporto estremamente ricco ma estremamente complesso. (Searle John R.,1998).Il mondo della ricerca mi pare sia ancora prevalentemente orientato al primo modello, con una serie di esperimenti quantificabili e misurabili, che orientano la ricerca stessa. I risultati controllabili, seguendo procedure rigorose, e quindi attendibili nell’ambito della validità delle procedure stesse, vengono a volte avvertiti come insufficienti perché sfuggono alla complessità del fenomeno in esame.

Prendiamo l’esempio di una sperimentazione sugli animali per il controllo di alcune relazioni in seguito a determinati stimoli, sia di ordine biochimico che di ordine fisico. Si può prendere in considerazione il ratto solo, individuo, o si può esaminare il ratto in relazione, non solo dal punto di vista gruppale, ma anche come stimolato da un partner che induce più o meno delle reazioni. Se a monte della ricerca c’è una importanza data alla relazione come variabile fondamentale che influisce non solo a livello relazionale e di rapporti psichici, ma anche a livello biochimico vale forse allora la pena di impostare una ricerca, molto più complessa, ma forse più vera, tenendo presente queste caratteristiche; ma questo cosa significa se non ammettere che le scelte di fondo, antropologiche, filosofiche e quindi anche etiche influenzano in maniera determinante la ricerca?

 

3.

Un altro punto riguarda lo scarto esistente tra il mondo animale e il mondo umano. Quanto il risultato ottenuto serve alla realtà del mondo umano molto più complesso di quello animale? Quanto vale la equiparazione o i punti di contatto tra i due mondi? Oppure: una modificazione dell’umore ha senza dubbio una rilevanza biochimica e può essere correttamente studiata in questa direzione biunivoca, nel senso che una modificazione chimica crea una modificazione umorale e che una modificazione umorale crea una modificazione chimica: ma come si relazionano tra loro queste reazioni? Che modelli abbiamo a questo proposito?

 

4.

La sociologia della conoscenza ci ha dimostrato come il nostro conoscere sia condizionato dalle strutture sociali, la psicoanalisi ci ha detto che la nostra mente è collegata con il gruppo e funziona in relazione al gruppo stesso il quale procede a volte per assunti di base inconsci che determinano non solo le dinamiche gruppali, ma anche le dinamiche di pensiero (Bion W., 1998). Non vale questo anche per la ricerca scientifica sia per quanto riguarda il condizionamento sociale, come per il condizionamento più sottile dei vari gruppi di ricerca o ancora del modo di funzionare della mente di chi fa e dirige e imposta una ricerca e una serie di riflessioni sulla ricerca stessa?

5.

Il collegamento tra l’epistemologia e l’etica hanno fatto nascere delle riflessioni importanti che mostrano, o per lo meno accennano, ad un possibile collegamento tra i valori e le procedure conoscitive (Antiseri D., Roma 1999). Non voglio sottolineare il trito argomento della non-neutralità che tutti ormai conoscono; voglio porre l’attenzione sull’importanza, anche inconscia, delle scelte a monte del procedere conoscitivo. La nostra conoscenza, il pensiero, sono imbevute di valori, di opzioni e di scelte. Faccio un esempio che vale per tutto. L’aderire ad una teoria della conoscenza essenzialistica, realistica, che dice che noi conosciamo la realtà come è, è molto diverso che credere a una ipotesi costruttivistica che afferma essere il processo conoscitivo non una fotografia della realtà, ma una serie di tasselli che la costruiscono. Aderire a una posizione piuttosto che a un’altra è un frutto di scelte che ciascun soggetto e ciascun gruppo fa in base a una complessità di elementi che qui non possiamo analizzare (Heinz von Forster, Milano, 2006). Vogliamo solo dire che questo fa parte di una scelta etica che diventa importante veicolo di procedure e di risultati differenti.

Forse è allora venuto il momento di interessarsi di etica, non tanto come comunemente viene recepita nell’ ambito di un contesto più generalmente e socialmente legato ai valori, quanto come una serie di regole che solitamente chiamiamo metodo che non è fatto solo di cose tecniche, ma che è impastato anche di implicazioni più profondamente legate alle procedure stesse. Il fatto che ritengo il mondo animale non esaustivo nei confronti del mondo umano è uno di quegli elementi etici che non solo dovrebbero determinare l’umiltà nella diffusione di risultati di ricerca, ma che dovrebbero orientare anche, i protocolli della ricerca stessa; senza impedirle di procedere per la sua strada. Sul problema della onnipotenza delle ricerche l’etica ha molto da dire. Anche in questo caso non solo dal punto di vista dell’impatto esterno che la diffusione di determinati risultati, acriticamente presi, possono ingenerare, quanto per l’assunzione degli stessi principi nella confezione della ricerca stessa … (Palo G., Freiburg 1987)

 

Bibliografia

  1. Antiseri D., Epistemologia e didattica delle scienze, Armando, Roma 1999
  2. Bion W., Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma 1998
  3. Heinz von Forster, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano 2006
  4. Palo G., De dignitate hominis, Verlag Herder, Freiburg 1987
  5. Searle John R., Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 1998

 


 

Schema metodologico di una possibile ricerca.

(Asterischi per gli studenti che si apprestano a fare un lavoro di diploma, di tesi o comunque di ricerca )

 

  • La scelta del TEMA
  • Lo status quaestionis (esplorazione su quanto esiste già)
  • Il problema
  • La specificità della riflessione
  • L’ipotesi di lavoro
  • La dimostrazione dell’ipotesi(Verifica)
  • Le conclusioni

 

LA SCELTA DEL TEMA

Il tema deve essere interessante per chi lo sceglie e per la scuola.

Gli attori della comunicazione sono qui in azione.

Necessità di esplicitare un modello di riferimento sulla comunicazione data la centralità del processo comunicativo, sia in fase di ricerca del tema, che in fase attuativa.

LO STATUS QUAESTIONIS

Si tratta di descrivere  a che punto sono le riflessioni esistenti sul tema scelto. Bisogna far ricorso alla bibliografia (primo strumento di analisi)per rendersi conto, e rendere conto, dello stato di nozioni e risultati presenti sul mercato culturale, relativo alla tematica scelta. La descrizione deve essere sintetica e deve riguardare i risvolti più significativi in modo che si abbia un quadro chiaro delle varie posizioni sul tema.

IL PROBLEMA

Dopo  il repertorio delle informazioni sul tema  nasce un problema che accentra gli interessi ai fini di una ricerca. Il problema è sempre alla base della ricerca scientifica e anche della ricerca quotidiana. Bisogna evidenziarlo e saperlo descrivere

LA SPECIFICITA’ DELLA RIFLESSIONE

Il punto di vista di chi tratta il problema deve essere evidenziato e costituisce un elemento importante del metodo. Un medico tratta diversamente il problema da un meccanico o da un tecnico gestionale  anche se la medicina ha degli agganci con la gestione e anche con la meccanica. Un fisioterapista ha un linguaggio e quindi un punto di vista diverso da uno psicoanalista anche se può prendere a prestito dalla psicoanalista alcune nozioni che gli possono servire. Il tecnico di laboratorio ha un orizzonte conoscitivo particolare che gli deriva da quello che fa e deve fare, orizzonte diverso da quello di un fisioterapista. Si tratta di specificarlo, capirlo e saperlo descrivere, per poi metterlo in pratica.

LE  IPOTESI DI LAVORO

La soluzione del problema rimanda o a delle tesi sicure e già più volte provate (in tal caso il problema viene risolto), altrimenti richiede ulteriori ricerche e allora si procede a fare delle ipotesi che a volte correggono la teoria o, a volte, la completano. Le ipotesi possono essere anche solo sperimentali per vedere se una determinata teoria resiste al vaglio della pratica o se invece la pratica evidenzia una carenza di soluzioni teoriche. L’ipotesi deve essere il più possibile semplice e chiaramente esprimibile.

LA VERIFICA

Può essere attuata in due modi:

  • teoricamente attraverso una discussione delle varie teorie
  • praticamente se si è scelto un metodo sperimentale che cerca di verificare se l’ipotesi è valida o No.

Si tratta allora di validare o invalidare un’ipotesi. La correttezza del procedere scientifico è attuata sia che l’ipotesi risulti verificata, sia che risulti invalidata.

LE CONCLUSIONI

Si tratta di tirare le fila del procedimento messo in atto sottolineando gli elementi più significativi dedotti dalla ricerca. Dire se l‘ipotesi è stata o no verificata; descrivere gli elementi che maggiormente si sono ritenuti provanti e quelli che hanno dimostrato una certa debolezza. Fare un’autovalutazione realistica della significatività del lavoro svolto.

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